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Ottone Rosai, Incontro-in-via-Toscanella
A Montevarchi, al Palazzo del Podestà, dal prossimo 25 ottobre 2020 al 31 gennaio 2021 una mostra monografica a cura di Giovanni Faccenda promuove la riscoperta di un grande artista fiorentino del Novecento, non adeguatamente considerato dalla sua città, trattato come pittore vernacolare. In mostra 50 capolavori del Rosati più raffinato, pensatore legato al pessimismo cosmico, diffidente degli uomini, con lo sguardo gentile verso la natura. Il corrispettivo dello scrittore Vasco Pasolini in pittura, ritenuto il maestro ispiratore da Francis Bacon.
BeBeez ha incontrato in anteprima il curatore, il professor Giovanni Faccenda in attesa dell’apertura della mostra, rinviata per l’emergenza sanitaria (avrebbe dovuto inaugurare il 5 aprile scorso), fiorentino, storico dell’arte e curatore della mostra, dell’Archivio dell’artista e del Catalogo Generale delle Opere di Rosai del quale ha pubblicato il primo di sei volumi per l’Editoriale Giorgio Mondadori, nel 2018; nonché Membro di Comitati scientifici e del Curatore scientifico del Catalogo di Arte Moderna dell’Editoriale Giorgio Mondadori.
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Ottone Rosai, Prof. Faccenda
Come nasce questa mostra di Rosai?
“Occorre una premessa, la necessità a mio parere di recuperare un pittore eccelso, nato a Firenze nel 1895 e morto ad Ivrea 1957, uomo dalle travolgenti passioni, nel centenario della sua prima personale fiorentina, nel 1920. Vorrei promuovere una rilettura a tutto tondo, tenendo conto anche dei suoi scritti, sebbene fosse autodidatta come per altro in pittura, con uno sguardo ampio sul mondo a lui contemporaneo al quale era legato e che in parte ho avuto la fortuna di conoscere. Parlo ad esempio di Vasco Pratolini che con Rosai condivideva la passione per la Firenze d’Oltrarno, non la città dei monumenti, ma della gente, anzi della povera gente, e che quest’ultimo aiuterà quando lo scrittore sarà ridotto allo stremo dalla tubercolosi; il poeta Mario Luzi; Pier Carlo Santini che curò il catalogo nel 1960 per Vallecchi; come anche Carlo Bo e i pittore Sergio Scatizzi e Nino Tirinnanzi. Mi dispiace che la sua città non gli abbia dedicato un museo dopo che Francesca, la vedova, aveva fatto un lascito al Comune e molte opere giacciono nei magazzini. L’occasione è legata proprio al risveglio di interesse per questo pittore che ho sollecitato con il mio lavoro”.
Qual è il tema dell’esposizione?
“In prima istanza è di natura cronologica, il periodo tra le due guerre, dal 1918 al 1939, dopo il suicidio del padre nel 1922 che sarà il suo più grande dolore. Rosai è molto provato e si trova a gestirne la bottega, un negozio artigianale di cornici e mobili in legno, con non pochi problemi. La forte prostrazione, legata probabilmente anche alla causa prossima del gesto estremo – un torto subito e non tanto i debiti contratti dal genitore, come per molto tempo si è detto – lo portano a meditare a sua volta di farla finita. O almeno così teme la moglie Francesca che lo invita a prendere un casotto, che era stato del dazio, nella zona di Villamagna, un luogo dove ricomincia a dipingere. La pittura lo salverà. In secondo luogo, protagonista della mostra, la scelta di focalizzarsi solo su capolavori, quasi tutti legati al periodo tra le due guerre: un’antologia di 50 opere, equamente divise tra dipinti e disegni, tutti provenienti da collezioni private. In particolare un nucleo di dieci opere della collezione romana di un avvocato suo amico che lo aiuterà, in un momento di difficoltà economica, senza pretendere nulla in cambio e al quale Rosai regalerà però delle opere. Quest’antologia era presente interamente alla mostra di Palazzo Ferroni, a Firenze, nel 1932, ed è documentata nel primo volume del Catalogo Generale Ragionato delle Opere di Ottone Rosai da me curato. Accanto alla collezione romana, le eccellenze più note che rappresentano l’aristocrazia della pittura e del disegno di Rosai. In mostra anche altre opere mai viste prime fatto che la rende esclusiva”.
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Ottone Rosai, Il cieco e il chitarrista
Perché una mostra a Montevarchi?
“E’ il luogo dove Rosai negli Anni Cinquanta veniva a giocare a carte e di solito perdeva; è anche la mia residenza; e, in particolare, il Sindaco, che è anche il Presidente della Provincia di Arezzo, Silvia Chiassai Martini, è una persona di grande cultura e sensibilità che ha mostrato interesse per restituire la giusta attenzione a questo artista.”
Qual è la sua rilettura di questo pittore nel quadro del Novecento?
“Un personaggio eccelso, ritenuto eccellente disegnatore da Giorgio De Chirico e il maestro ispiratore, soprattutto per gli autoritratti di un personaggio internazionale del livello di Francis Bacon. Sono forti i suoi riferimenti a Dostoevskij che a Firenze amava passeggiare intorno a Pitti e nel Giardino di Boboli che sono proprio il punto di partenza, da via Toscanella, di Rosai; a Dino Campana e Aldo Palazzeschi, fra gli altri; come anche a Mario Tobino, compagno di Paolo Olivetti o Romano Bilenchi. Rosai è stato in certo modo anticipatore del cinema di Michelangelo Antonioni per il tema dell’incomunicabilità ed eco del pessimismo cosmico di Giacomo Leopardi”.
![Ottone Rosai Partita-a-briscola]()
Ottone Rosai Partita-a-briscola
Il volto gentile dell’Espressionismo toscano rispetto a Lorenzo Viani?
“Gentile è un termine che si può usare quando si legge lo sguardo del pittore sulla natura, con la quale intrattiene un idillio, ma con gli uomini il suo punto di osservazione è feroce. Usava dire che “gli uomini bisogna saperli prendere come le medicine, altrimenti possono far male”.
Ci anticipa il racconto di un’opera?
“Vorrei parlare di Incontro in via Toscanella, del 1922, proveniente da una collezione fiorentina, la copertina del catalogo della mostra che celebra il suo mondo con tre donne che raccontano l’intimità della vita quotidiana. A questo proposito vorrei sottolineare ancora una volta quanto Rosai sia stato vittima di giudizi frettolosi e volgari come la sua presunta adesione al Fascismo, sebbene Mussolini lo detestasse; l’accusa di misoginia e di aver comunque trascurato la presenza femminile e la sua omosessualità che fu, direi, ellenica. Non vizioso né mai macchiato da comportamenti che potessero recare danno alcuno. Mai si nascose né nascose la sua inclinazione alla moglie, impiegata al quotidiano La Nazione, che lo amava a prescindere.”
La storia di Ottone Rosai
Nasce il 28 aprile 1895 in via Cimabue, nel cuore di uno dei vecchi quartieri di case popolari di Firenze. Il padre, Giuseppe, è fiorentino, la madre, Daria Deboletti, della provincia di Siena. Il nonno paterno, valente intagliatore, aveva lasciato in dote ai propri discendenti una bottega d’antiquariato con laboratorio artigiano annesso, ma la speranza di Giuseppe di indurre il giovane erede a continuare la tradizione di famiglia viene ben presto delusa: egli, infatti, si iscrive all’Istituto d’Arti Decorative in piazza Santa Croce, dove, peraltro, non rimane che per poco tempo.
Successivamente frequenta il Regio Istituto di Belle Arti: i risultati dei corsi di studio sono buoni, con punte di eccellenza. Tuttavia, dopo un diverbio con il maestro Calosci, viene cacciato. Inadatto alle costrizioni, l’insofferente allievo trascorre la stagione dell’adolescenza in modo dispersivo, consolidando quelle che saranno le costanti della sua vita: la passione per le sale da gioco, i caffè, il biliardo, la vita notturna e stradaiola.
Nel novembre 1913, a Firenze, in un locale di via Cavour, la sua prima mostra di pittura insieme a Betto Lotti. Nella medesima strada, dal libraio Gonnelli, è contemporaneamente allestita quella dei futuristi di Lacerba: condotti da Papini, questi una sera visitano la vicina esposizione e, colpiti dalle opere, ricorda Rosai, “mi fecero elogi che ricevetti come enormi ricompense e mi invitarono a unirmi a loro”. Conosce, così, Marinetti, Boccioni, Palazzeschi, Carrà, Severini e Soffici, che gli sarà amico, maestro e punto di riferimento per tutti gli anni Venti, facendogli scoprire, fra l’altro, l’innovativa lezione di Cézanne e il cubismo di Picasso.
Nel 1915, in coincidenza dell’inizio della prima guerra mondiale, si arruola come volontario: sarà decorato più volte per atti eroici. I ricordi di quel periodo sono raccolti in alcune pagine del Libro di un teppista (1919) e più diffusamente ripresi nel volume Dentro la guerra (1934). Fra il 1919 e il 1920 orienta la propria ricerca espressiva verso altri orizzonti. Abbandonate talune suggestioni cubofuturiste, incontra nella realtà pretesti per pagine di aristocratica eloquenza: tele e disegni di piccole dimensioni che rimangono fra gli esiti più significativi dell’arte italiana del Novecento.
Nel novembre 1920 espone alcuni fra i migliori lavori del periodo in una mostra personale ordinata nelle sale di Palazzo Capponi, a Firenze. Fernando Agnoletti tiene il discorso inaugurale; Soffici e de Chirico la recensiscono sui giornali in modo lusinghiero.
Dopo il dolore per il suicidio del padre nel 1922, nel 1924 sposa la ventiseienne Francesca Fei.
Sono anni, questi, di dolorosa indigenza e amara solitudine, che lo obbligano a vendere, a poche lire, persino gli oggetti di casa e i quadri più belli per saldare i conti in sospeso dell’esercizio commerciale avuto in sorte. Solo nel 1927 riprenderà a dipingere con una certa continuità, ma, tre anni più tardi, amareggiato dai pochi acquisti che si contano a una sua mostra tenutasi presso la galleria Il Milione di Milano, smarrisce di nuovo ogni motivazione. Intanto la situazione economica, personale e familiare, si fa sempre più grave.
Nel 1930 pubblica Via Toscanella, una raccolta di scritti edita da Vallecchi. L’anno seguente è autore di un opuscolo polemico, Alla Ditta Soffici-Papini & Compagni, che segna la rottura con i vecchi amici e con Carlo Carrà. Alla fine dell’anno la svolta decisiva: affida alla moglie il compito, gravoso, di condurre a termine la disastrata odissea della bottega. La mostra fiorentina di Palazzo Ferroni (1932) ottiene grande successo, mentre due anni più tardi la presenza alla Biennale di Venezia contribuisce ad accrescere l’interesse attorno a lui di critici e i collezionisti. Nel frattempo, si è trasferito nel nuovo studio in via San Leonardo.
Nel 1936 si inaugura la personale al Lyceum di Firenze. Espone, nello stesso anno, tre opere alla Biennale di Venezia. Stringe amicizia con Montale e con i giovani poeti ermetici. Tra gli scrittori, privilegia le frequentazioni con Gadda e Landolfi, ma il rapporto più profondo è forse con Bilenchi.
Nel 1942 gli viene assegnata la cattedra di pittura dell’Accademia di Firenze. Durante la guerra, dipinge una serie di autoritratti di toccante resa espressiva e alcune emblematiche crocefissioni, simbolo degli eventi terrificanti che si susseguono senza interruzioni.
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Ottone Rosai, Collina d’ulivi
Terminato il secondo conflitto mondiale, trascorre ancora qualche anno prima che Rosai riprenda la consueta attività espositiva, partecipando a mostre internazionali che lo vedono protagonista, dal 1950 in poi, anche a Parigi, Zurigo, Londra e Monaco di Baviera. Ovunque l’apprezzamento è unanime.
Nel 1951 pubblica, con prefazione di Carlo Bo, Vecchio autoritratto, che raccoglie la sua letteratura più nota (Il libro di un teppista, Dentro la guerra, Via Toscanella; una seconda edizione del volume, con il titolo Ricordi di un fiorentino è del 1955). Vince ex aequo con Gianni Vagnetti il II Premio del Fiorino.
Nel 1952, alla Biennale di Venezia, gli viene dedicata un’intera sala, ma i critici membri della giuria per l’assegnazione dei premi gli negano il riconoscimento ufficiale.
Nel 1953 La Strozzina di Firenze, con lo spirito di risarcire il pittore per “l’episodio sconcertante di Venezia”, gli dedica un’importante mostra.
Compare nel film Le ragazze di San Frediano, tratto dal romanzo del suo amico Vasco Pratolini.
Nel 1954 è nuovamente invitato alla Biennale di Venezia. Alla fine dell’anno si manifestano i primi sintomi dei disturbi al cuore che saranno la causa della sua morte. Partecipa con soddisfazione alla Quadriennale di Roma (1955) e in alcune esposizioni, dagli esiti lusinghieri, che si tengono a Bologna, Genova e Milano; in seguito, anche in alcune città europee.
Nel primavera 1957 Pier Carlo Santini organizza ad Ivrea, presso il Centro Culturale Olivetti, una sua importante rassegna antologica incentrata sulla figura umana. Rosai vi si reca il giorno prima dell’inaugurazione per curare personalmente l’allestimento, ma, al volgere della notte, còlto da infarto, muore.
a cura di Ilaria Guidantoni