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Gli immobili all’asta in Italia si deprezzano mediamente del 57%. Lo rileva il Report di ReViva

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asteGli immobili all’asta si deprezzano mediamente del 57% in Italia. Il 72% delle aste ha esito deserto che porta a una svalutazione dell’immobile del 25%, per poi essere riproposto in vendita in asta diversi mesi dopo. In sostanza, ogni volta che un’asta non viene aggiudicata, gli immobili si deprezzano del 25%. Lo rileva il rapporto relativo al primo semestre 2019 di ReViva, startup italiana specializzata in vivacizzazione delle aste (si veda qui lo studio completo).

Il report calcola che in Italia nel primo semestre 2019 105 mila lotti hanno generato 130.980 aste, per una media di 1,24 aste per lotto. In generale, finiscono all’asta soprattuto immobili residenziali (61%), seguiti da non residenziali (29%) e terreni (10%). Il valore minimo degli immobili andati all’asta, inteso come la somma delle loro offerte minime più basse, è stato di circa 12,2 miliardi di euro.

revivaI prezzi medi di offerta minima differiscono per asset class e regione. A livello di asset class, gli immobili più costosi sono i non residenziali (mediamente 211 mila euro), seguiti da terreni (98 mila euro) e residenziali (82 mila euro).  A livello geografico, il Trentino Alto Adige è la regione italiana dove vanno all’asta a prezzi maggiori (in termini di valori medi di offerta minima) gli immobili residenziali e non, mentre in Lombardia ed Emilia Romagna sono più alte le offerte minime per i terreni. Gli immobili residenziali invece si deprezzano maggiormente in Calabria, quelli non residenziali in Toscana e i terreni in Molise.

Fondata  a Milano nel settembre 2017 da Ivano De Natale e Giulio Licenza, Reviva è la prima azienda in Italia che si occupa di invertire il trend delle aste andate deserte, attraverso un metodo di vivacizzazione delle stesse che unisce big data e tecnologia per abbattere i rischi, prevedere i valori e supportare i privati in un acquisto consapevole e sicuro. Ad oggi Reviva è leader del settore degli immobili residenziali all’asta in termini di volume, essendo il player del settore real estate con il maggior numero di immobili affidati. Nel gennaio 2019 erano appena 2700 gli immobili gestiti, oggi sono invece oltre 5.000. In notevole crescita anche il numero delle aste gestite mensilmente da Reviva, che si attesta a oggi intorno alle 300 mensili.

La società ha stipulato accordi con le banche e i gestori di Npl. Nel settembre 2019 ha siglato un accordo per offrire servizi di facilitazione delle aste con Yard Cam, società del Gruppo Yard specializzata nella consulenza e nel supporto strategico nella gestione e nel recupero di Npl e Utp secured (si veda altro articolo di BeBeez).

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Le esportazioni italiane cresceranno del 2,8% nel 2020 e del 3,7% nel 2021-2022. Lo prevede il rapporto di Sace Simest

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previsioni exportLe esportazioni italiane cresceranno del 2,8% nel 2020 e del 3,7% nel 2021-2022. Lo prevede il primo aggiornamento delle previsioni del Rapporto Export 2019-2022 di Sace Simest, presentato il 17 dicembre scorso (si vedano qui lo studio completo e qui la presentazione). Le previsioni sono basate su un modello proprietario di Sace Simest e Oxford Economics, ha chiarito Alessandro Terzulli, capo economista di Sace. In particolare, il modello prevede che l’export italiano continuerà ad avanzare grazie, principalmente, al rimbalzo dei beni di investimento, che comunque beneficeranno di una più favorevole dinamica della domanda globale, trainata soprattutto dal recupero dei Paesi emergenti. Per quanto riguarda i beni intermedi, terrà solo il farmaceutico. Per contro, è atteso un rallentamento fisiologico dei beni di consumo e agroalimentari, dopo l’ottima performance di quest’anno, sebbene la crescita continuerà a ritmi relativamente più sostenuti soprattutto nel periodo 2021-2022.

export primi 9 mesi 2019Sace Simest inoltre ha rivisto al ribasso le previsioni per il 2019, dal 3,4% al 3,2%. “L’export italiano tiene, ma rallenta, soprattutto in Germania, che è il nostro primo mercato di sbocco, con un 12,5% delle esportazioni”, ha spiegato Terzulli. La revisione al ribasso è dovuta al rallentamento delle vendite dei beni d’investimento, in primis macchinari e mezzi di trasporto. Saranno migliori invece le performance stimate per gli altri settori: tra questi, l’andamento positivo oltre le aspettative delle vendite dei beni della farmaceutica (inclusi nel settore della chimica) e di quelli alimentari ha generato, infatti, una variazione al rialzo dei rispettivi tassi di crescita. Nel complesso, la migliore performance delle esportazioni italiane di beni rispetto al commercio globale, entrambi misurati in valore, consentirà alle nostre imprese di guadagnare quote di mercato nel 2019 (al 2,9% dal 2,8% del 2018). Da quest’anno, la quota dell’export italiano sull’import mondiale è attesa stabilizzarsi, in corrispondenza di una maggiore vivacità degli scambi internazionali.

Nei primi 9 mesi del 2019, le esportazioni italiane sono aumentate del 2,5% (per un totale di 8,6 miliardi di euro), ma la crescita risulta polarizzata per settori e paesi. A livello settoriale, dominano: farmaceutico (5,3 miliardi di euro); tessile e abbigliamento (2,4 miliardi di euro); alimentari e bevande (1,8 miliardi di euro). A livello geografico, fanno la parte del leone Stati Uniti (2,9 miliardi), Svizzera (2,8 miliardi) e Regno Unito (1,1 miliardi).


Criptoasset, ecco il Rapporto finale di Consob dopo la consultazione pubblica

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Le criptoattività o criptoasset sono le “attività diverse dagli strumenti finanziari di cui all’art. 1 comma 2 TUF e da prodotti di investimento di cui al comma 1, lettere w-bis.1, w-bis.2 e w-bis.3 (per i quali vale la normativa in vigore del Testo Unico della Finanza e della direttiva Mifid, ndr), consistenti nella rappresentazione digitale di diritti connessi a investimenti in progetti imprenditoriali, emesse, conservate e trasferite mediante tecnologie basate su registri distribuiti (quindi non solo su blockchain, ndr), nonché negoziate o destinate a essere negoziate in uno o più sistemi di scambi”.

Lo ha detto lo scorso giovedì 2 gennaio Consob nel suo Rapporto finale sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività, pubblicato dopo che lo scorso 5 giugno si è chiusa la consultazione pubblica sul Documento per la discussione, che si era  aperta lo scorso 19 marzo (si veda altro articolo di BeBeez) e a cui era seguita anche un’audizione pubblica tenutasi il 21 maggio 2019 a Milano presso l’Università Bocconi.  La consultazione si è chiusa con 61 risposte pervenute (di cui 8 esponenti del mondo accademico, 4 associazioni di categoria, 7 da associazioni di categoria fintech, 2 operatori di mercato incumbent, 12 operatori di mercato fintech, 25 studi legali/professionali, 3 persone fisiche).

Una volta definite le criptoattività, in tema di ICOs e gli scambi di criptoasset Consob precisa  che “l’eventuale introduzione di una nuova disciplina, diversa da quella prevista per il crowdfunding, richiederebbe un’ulteriore previsione di meccanismi di disclosure e misure organizzative volte a fornire analoghe forme di tutela”. Quindi,  ritiene pertanto di “poter confermare l’approccio delineato nel documento di consultazione”.

Nel Documento di consultazione Consob diceva che “gli operatori meglio posizionati per poter offrire professionalmente assistenza nella realizzazione delle offerte di cripto-attività a un numero potenzialmente indeterminato di investitori appaiono, in ambito domestico, i gestori di portali di equity crowdfunding. Ma si potrebbe anche prevedere che soggetti diversi, purché in possesso di requisiti soggettivi richiesti alla categoria dei gestori di portali di crowdfunding, possano gestire piattaforme per la specifica offerta cripto-attività e delle initial coin offering”.

Detto questo, Consob nel Documento per consultazione diceva che sarebbe da prevedere un’apposita disciplina per lo svolgimento delle offerte in sede di emissione delle cripto-attività  (…) con lo scopo di raggiungere un pubblico vasto di acquirenti/investitori. La citata disciplina avrebbe quindi a oggetto la tutela dei potenziali acquirenti, quantomeno con riferimento alle caratteristiche dei soggetti emittenti cripto-attività e alla messa a disposizione di adeguate informazioni in merito ai progetti imprenditoriali per i quali gli stessi verrebbero sollecitati”. Consob, però. precisava anche che non riteneva necessario creare una situazione di regole rigide e che riteneva invece più “utile prevedere un regime che in virtù di un meccanismo di opt-in consenta al promotore dell’iniziativa (emittente/offerente/proponente) di scegliere l’impiego di una piattaforma dedicata (rispondente ai requisiti sopra tratteggiati), al fine di rivolgersi alla platea degli investitori in un contesto regolamentato. Di conseguenza, le offerte promosse al di fuori delle piattaforme regolate resterebbero comunque legittime (a meno di non presentare aspetti valutabili sotto il profilo dell’abusivismo ai sensi del TUF ove il token integri la nozione di prodotto finanziario). Tali offerte, tuttavia, sarebbero chiaramente riconoscibili dalla generalità del pubblico come non assistite dalle stesse tutele  approntate dal regime applicabile a quelle che, per volontà dell’emittente/offerente/proponente, accedano invece al circuito regolato”.

In particolare, aggiunge Consob nel Rapporto finale, “si ritiene opportuno adottare una soluzione che assicuri al contempo la liquidità dell’investimento in cripto attività e l’affidabilità della piattaforma di scambio. A tal fine è necessario prevedere che il token oggetto di offerta sia ammesso alla negoziazione in un sistema di scambio di cripto-attività iscritto nel registro tenuto dalla Consob ovvero in un sistema di scambio di cripto-attività avente sede in un Paese diverso dall’Italia purché sia sottoposto ad un regime di regolamentazione e vigilanza che abbia caratteristiche che si pongono in linea con quanto previsto dalla normativa italiana e purché, in relazione al sistema di scambi medesimo, la Consob abbia stipulato un apposito accordo di cooperazione con la corrispondente Autorità estera competente”.

Gli emittenti di criptoasset possono essere: società, persone fisiche, network di sviluppatori di prodotti. In ogni caso Consob ritiene che “un approccio idoneo a bilanciare l’esigenza di non introdurre eccessivi oneri, ma di avere presidi di tutela degli investitori, sia quello di non prevedere requisiti organizzativi/patrimoniali, concentrando invece l’attenzione sulla trasparenza”. In particolare si dovrebbe prevedere almeno:
“a) la pubblicazione di un documento iniziale per l’offerta con informazioni minime (sul modello dei diffusi White Paper) contenente elementi sull’operazione (utilità dei token, impego delle risorse, rendimenti ecc.), sulle cripto-attività (numero, valorizzazione, sistemi di incentivi, negoziabilità ecc.) e sulle piattaforme di exchanges su cui le cripto-attività saranno negoziate; b) la pubblicazione di aggiornamenti annuali del predetto documento iniziale (White Paper);
c) la pubblicazione di aggiornamenti straordinari del predetto documento iniziale (White Paper) in occasione di eventi eccezionali idonei a mutare in forma rilevante l’iniziativa”.

I gestori delle piattaforme, tramite autodisciplina, potranno aggiungere ulteriori requisiti. Resta in capo ai gestori delle piattaforme la gestione degli adempimenti per verificare la validità delle operazioni proposte. Il gestore della piattaforma interviene a livello tecnologico solo il fase di lancio dell’offerta, mentre le fasi di sottoscrizione e collocamento saranno gestite in maniera automatizzata tramite smart contract. Il gestore della piattaforma ha l’obbligo di assicurare l’affidabilità tecnologica; a tal fine, sono previsti a livello normativo: obblighi minimi di validazione/certificazione dei protocolli tecnologici utilizzati dai promotori; verifica di tali obblighi da parte di sponsor tecnologici dei promotori.

Le piattaforme di scambio, ai fini dell’iscrizione e permanenza nel registro Consob, dovranno soddisfare requisiti specifici in materia di compliance, business continuity, due diligence, monitoraggio delle transazioni, informazioni sulle cripto-attività e di cybersecurity, che saranno modulati in relazione alle caratteristiche, al modello di servizio e di organizzazione della piattaforma di negoziazione. Le criptoattività potranno essere scambiate anche da soggetti già autorizzati alla gestione di portali di crowdfunding e di piattaforme di negoziazione di strumenti finanziari.

Sui sistemi di scambio registrati presso la Consob potrà essere effettuata anche una Initial Exchange Offering (IEO). Quest’ultima rappresenta un modello alternativo di offerta di token, dove l’emittente/offerente/proponente raccoglie capitali presso il pubblico offrendo in vendita i token direttamente su un exchange. La IEO sarà ammessa purchè siano disponibili adeguate informazioni per gli investitori in merito alle caratteristiche dei token e dell’offerta.

Infine, per quanto concerne i wallet (servizi di portafoglio digitale), ossia i sistemi che consentono la custodia e il trasferimento del token per conto terzi, anche attraverso la detenzione delle chiavi crittografiche private, al fine di detenere, conservare e trasferire cripto-attività, Consob, come novità rispetto a quanto proposto nel Documento in consultazione, suggerisce di istituire due registri separati: uno per i sistemi di scambi di criptoattività e uno per i fornitori di servizi di portafoglio digitale. Potrebbero prestare i servizi di portafoglio digitale coloro che già svolgono un’attività di organizzazione di sistemi di scambi di cripto-attività ma anche chiunque rispetti i requisiti che dovrebbero appositamente essere dettati ai fini dell’iscrizione al registro tenuto dalla Consob.

La proposta normativa prevede l’iscrizione nell’apposito registro di fornitore di sistemi di portafoglio digitale per i soggetti dotati di:

  • regole e procedure relative all’identificazione dei clienti;
  • misure volte a proteggere adeguatamente le criptoattività ed a garantirne la segregazione e conservazione, nonché regole e procedure idonee con riguardo all’investimento delle risorse finanziarie;
  • misure per consentire il regolamento efficiente delle operazioni di negoziazione relative alle criptoattività da esso custodite;
  • procedure per identificare e gestire i rischi connessi con lo svolgimento dei servizi;
  • idonei presidi di organizzazione e funzionamento, incluso in materia di continuità operativa e sicurezza informatica;
  • adeguate procedure per la gestione dei conflitti di interesse;
  • risorse finanziarie sufficienti per la sana e prudente gestione.

Casa di Cura Privata Santa Maria Maddalena emette minibond da 7 mln euro. Lo sottoscrive tutto il fondo di Anthilia

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Schermata 2020-01-07 alle 05.52.21

Schermata 2020-01-07 alle 05.52.21La Casa di Cura Privata Santa Maria Maddalena spa, polo attrattivo ospedaliero e ambulatoriale attivo da circa 70 anni sul territorio venetoemiliano, ha emesso a fine dicembre 2019 un minibond da 7 milioni di euro, che è stato interamente sottoscritto dal fondo Anthilia BIT 3, gestito da Anthilia Capital Partners sgr (si veda qui il comunicato stampa). Il bond ha scadenza 30 dicembre 2026 con struttura amortizing e paga una cedola del 5,25%. SBA Business Advisor, in collaborazione con Artemisia Consulting, ha svolto il ruolo di advisor e arranger dell’operazione, mentre Orrick è stato l’advisor legale.

Cura Privata Santa Maria Maddalena, fondata nel 1950 dal medico chirurgo e primario Francesco Pellegrini e guidata dal presidente Franco Pellegrini, è una struttura ambulatoriale e ospedaliera polispecialistica specializzata in attività ambulatoriali, sanitarie e di ricovero. Situata a Occhiobello (Rovigo), strategicamente ubicata tra le province di Rovigo e Ferrara, la società rappresenta un importante anello di congiungimento della catena sanitaria tra Veneto ed Emilia-Romagna. E’ anche un attivo punto di primo intervento aperto 24 ore su 24, dal 2017 è Centro di Riferimento Regionale per le Terapie del Dolore e dal 2019 è stata classificata come Presidio Ospedaliero. Nel 2018, l’azienda ha registrato un fatturato pari a 28,7 milioni di euro, un ebitda margin dell’8,6%, con un patrimonio netto pari a circa 8 milioni di euro.

L’emissione obbligazionaria finanzierà gli investimenti a supporto del piano di sviluppo della società, dedicati in particolare all’ampliamento della struttura ospedaliera e di ricovero e l’acquisto e l’installazione di nuovi macchinari e attrezzature per attività di alta chirurgia specialistica.

“Abbiamo apprezzato Casa di Cura Privata Santa Maria Maddalena come azienda altamente attrattiva in ambito ospedaliero e ambulatoriale oltre che polo strategico per l’area a nord-est tra Veneto ed Emilia-Romagna. Siamo felici di poterla supportare nel proprio percorso di crescita e sviluppo che, grazie all’emissione sottoscritta dal nostro fondo di private debt, potrà proseguire incrementando il livello di eccellenza delle attività chirurgiche e delle prestazioni a maggior valore aggiunto””, ha commentato Giovanni Landi, vicepresidente esecutivo di Anthilia Capital Partners.

“Casa di Cura Privata Santa Maria Maddalena in relazione ai riconoscimenti raccolti anche oltre il proprio territorio di riferimento ha scelto di realizzare un importante piano di investimenti, utilizzando uno strumento finanziario innovativo per il proprio settore, caratterizzato sempre più da esigenze finanziarie complesse legate agli Investimenti necessari allo sviluppo delle attività”, ha commentato Pietro Secchi senior partner di SBA.


Fisco e crisi d’impresa, ecco le ultime novità

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CodiceCrisiMentre il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 ) entrerà in vigore completamente il prossimo 15 agosto 2020, chi sta gestendo procedure concorsuali si preoccupa di capire come essere in regola con le nuove norme per non avere sorprese non gradite.

Un tema caldo è certamente quello della gestione dei debiti fiscali. L’impresa in crisi, che quindi non è in grado di adempiere con regolarità le proprie obbligazioni tributarie, può ottenerne la cosiddetta “falcidia” e/o la dilazione di pagamento nel medio lungo termine, facendo ricorso, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, all’istituto della transazione fiscale. L’istituto del “Trattamento dei crediti tributari e contributivi” previsto dall’art. 182-ter Legge Fallimentare si applica nel contesto di una procedura di concordato preventivo (art. 160, L.F.) o di un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis, L.F.). La transazione rappresenta dunque una deroga al principio di indisponibilità e irrinunciabilità del credito tributario da parte dell’amministrazione finanziaria, che mira alla conservazione dell’impresa qualora vi siano concrete possibilità di risanamento.

Il nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza sostituisce l’articolo 182-ter L.F e lo spacchetta in due nuovi articoli (artt. 63 e 88, D.Lgs. 14/2019), aventi per oggetto l’attuazione dell’istituto della transazione fiscale rispettivamente nell’ambito di un accordo di ristrutturazione e del concordato preventivo. Pur ricalcando la norma ancora attualmente vigente, le due nuove disposizioni propongono alcune soluzioni che dovrebbero superare alcune criticità applicative dell’istituto così come sino a oggi concepito, in particolare la tipica ritrosia dell’amministrazione finanziaria nell’apprezzare la convenienza dell’accordo proposto; e i tempi, solitamente molto lunghi con i quali questa valutazione viene condotta. In particolare va sottolineato che è stata prevista la possibilità di omologazione della transazione fiscale da parte del tribunale, nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche in assenza di adesione da parte del Fisco alla proposta formulatagli dall’impresa debitrice (art. 48, comma 5). Più nel dettaglio, l’omologa da parte del tribunale potrà avvenire non solo in caso di mancata adesione alla proposta da parte del Fisco entro 60 giorni dal deposito della proposta di transazione, ma anche in caso di rigetto della stessa, se vi è il raggiungimento delle percentuali del 60% dei crediti (Art. 57 comma 1) e del 30% qualora non venga proposta la moratoria (dilazione) dei creditori estranei agli accordi e non si siano chieste misure protettive temporanee (Art. 60 comma1).

Sul tema della nuova transazione fiscale l’Ordine dei Commercialisti di Milano ha pubblicato lo scorso giugno un corposo Quaderno interamente dedicato al nuovo trattamento dei debiti tributari e contributivi. Ma va ricordato che lo scorso settembre l’Agenzia delle Entrate è a sua volta intervenuta sul tema, con delle precisazioni che modificano la posizione presa poco più di un anno prima con la circolare del 23 luglio 2018. Come spiegato nel dettaglio da Giulio Andreani, partner del dipartimento Tax di Dentons, in un suo approfondimento ad hoc, le precisazioni che destano maggiore interesse, ai fini della predisposizione della proposta di trattamento dei crediti tributari, riguardano (i) la natura “endogena” oppure “esogena” dei flussi generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa nell’ambito del concordato preventivo in continuità, (ii) i criteri di distribuzione ai creditori del patrimonio del debitore, (iii) la possibilità di derogare al principio del divieto del trattamento deteriore dei crediti fiscali con riguardo ai cosiddetti “creditori strategici”, (iv) la certificazione dei crediti tributari, (v) i criteri di valutazione della proposta di transazione fiscale da parte del Fisco, (vi) il coordinamento della transazione fiscale con gli istituti deflativi del contenzioso, (vii) la possibilità di dilazionare il pagamento dei debiti fiscali oltre l’arco temporale oggetto del piano di risanamento, (viii) il comportamento dell’Amministrazione finanziaria in caso di moratoria ultrannuale nel concordato preventivo in continuità, (ix) gli effetti della rinegoziazione della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, (x) i criteri da utilizzare per l’individuazione dell’Ufficio competente.

Logo-AgEntrateIntanto negli ultimi mesi si sono succeduti gli interpelli all’Agenzia delle Entrate per chiarire aspetti fiscali dubbi nell’ambito di procedure. Ne ha parlato ampiamente Roberto Egori, tax partner di Linklaters, in occasione del suo intervento al seminario “Utp: gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il nuovo codice della crisi”, organizzato a Milano da Iside a fine novembre (scarica qui le slide dell’intervento).

Tra le pronunce importanti ne segnaliamo qui alcune. Per esempio, in una risposta a un interpello dell’31 ottobre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che alle plusvalenze e alle minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immobili non strategici all’esercizio dell’attività d’impresa nell’ambito di un concordato preventivo in continuità aziendale, siano applicabili le regole generali di determinazione del reddito d’impresa, con la conseguenza che quelle plusvalenze e minusvalenze concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.

L’interpello era stato presentato da una società che aveva presentato una domanda di concordato preventivo ai sensi dell’art. 160 Legge Fallimentare in continuità d’impresa e che aveva ottenuto l’omologa del Tribunale. La società chiedeva se avrebbe potuto applicare la disposizione prevista dall’art. 86, comma 5, TUIR secondo cui: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore dell’avviamento”. Una norma che è stata pensata però solo in relazione a un’ipotesi in cui 2dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa2 (si vedano la Risoluzione n. 29/E del 1° marzo 2004 e la nota illustrativa al TUIR, aggiornato e coordinato con le disposizioni del DPR n. 42/1988).

Peraltro, questo approccio trova ulteriore conferma nell’evoluzione normativa dell’art. 88, TUIR: è stato infatti introdotto il comma 4-ter, con il quale si dispone una differente misura della detassazione delle sopravvenienze attive, conseguenti dalle riduzioni dei debiti dell’impresa, a seconda che si tratti di concordato preventivo liquidatorio o concordato di risanamento.

In particolare, in base all’art. 88 comma 4-ter, in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, senza considerare il limite dell’80%, la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati.

A questo proposito, in una risposta a un altro interpello dell’11 ottobre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha reso chiarimenti in tema di estensione dell’efficacia di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato e scaduto. L’Agenzia ha precisato che l’art. 88 comma 4-ter si può applicare anche in quel caso. Se cioè un accordo di ristrutturazione originariamente omologato è scaduto, ma è stato poi stipulato un accordo di estensione della sua efficacia (proroga registrata, ma non nuovamente omologata) e se, a seguito della cessione di un immobile come previsto dall’accordo originario, si verifica una riduzione dei debiti, allora quella riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva per la misura prevista dall’art. 88 comma 4-ter. Questo sulla base del presupposto che, una simile situazione, ripropone nella sostanza i medesimi effetti in termini di esdebitamento dei creditori, seppure in un periodo successivo a quello al termine di efficacia dell’originario accordo di ristrutturazione.

Pop Sondrio conferma la cessione a breve di un mld di Npl

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Schermata 2020-01-06 alle 20.11.58

Schermata 2020-01-06 alle 20.11.58Banca Popolare di Sondrio conferma la volontà di cedere a breve un miliardo di euro di Npl, così come già annunciato lo scorso agosto, in occasione della presentazione dei risultati semestrali (si veda altro articolo di BeBeez). Il nuovo annuncio è contenuto nel tradizionale messaggio ai soci e agli amici del 1° gennaio 2020 firmato dal consigliere delegato e direttore generale Mario Alberto Pedranzini e dal presidente Francesco Venosta.

“L’ipotizzata acquisizione della Cassa di Risparmio di Cento spa è venuta meno, e ce ne dispiace, per la mancata autorizzazione da parte della Bce, avendo l’Autorità di Vigilanza ravvisato l’esigenza di dare priorità alle iniziative di riduzione dello stock degli Npl. È quanto continuiamo a fare con metodo e solerzia, ampliando, al nostro interno, le strutture dedicate e facendo ricorso al supporto di società specializzate”, si legge nel messaggio che continua. “A ciò si aggiunga la deliberata cessione di circa un miliardo di crediti a sofferenza che, unita all’ottimizzazione dei processi interni, contribuisce significativamente all’implementazione della strategia complessiva di derisking. La diminuzione tendenziale di oltre il 2% anno su anno dell’NPL ratio ci porta in area 12,5%, con la previsione, a cessione avvenuta, di scendere intorno al 9% entro il primo trimestre dell’esercizio in corso. Va da sé che molto dipenderà dall’andamento dell’economia e, ancor più, dalla nostra capacità di selezionare e gestire al meglio gli impieghi”.

A fine ottobre si erano anche diffuse voci circa una possibile cessione  di un portafoglio più ampio, da 1,5 miliardi, tramite una cartolarizzazione con Gacs (si veda altro articolo di BeBeez). Da inizio anno lo stock dei crediti deteriorati lordi della banca è sceso a 3,874 miliardi lordi (di cui 2,3 miliardi di sofferenze) dai circa 4,17 miliardi di fine dicembre 2018 (di cui 2,48 miliardi di sofferenze) (si vedano qui i risultati dei nove mesi 2019). Nel dicembre scorso la banca stava valutando la cessione dell’intero stock di crediti deteriorati e della sua piattaforma di gestione e aveva dato mandato a questo fine all’advisor Oliver Wyman (si veda altro articolo di BeBeez).


Cdp trasferisce il business del private equity a Cdp Equity. L’operazione rientra nella riorganizzazione prevista dal business plan

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Cdp

CdpCdp ha trasferito il business del private equity a Cdp Equity, conferendole le sue partecipazioni in: Fsi sgr (39%), F2i (14%), QuattroR (40%), Fondo Italiano d’Investimento (68%) e Invitalia Ventures (70%). Lo ha riferito lo scorso 2 gennaio MF Milano Finanza.

Nel dettaglio, l’operazione sarebbe avvenuta a fine dicembre 2019, quando l’Assemblea straordinaria di Cdp Equity ha varato un aumento di capitale del controvalore di 23 milioni di euro per trasferire le summenzionate partecipazioni. In questo modo, la società è diventata il gestore delle sgr vicine o di derivazione di Cdp. Le partecipazioni nelle varie sgr oggetto del conferimento in Cdp Equity sono state oggetto di una perizia redatta Grant Thornton che le valutate complessivamente 32 milioni di euroL’operazione rientra nella riorganizzazione strutturale e nella revisione delle strategie d’investimento e d’azione previste dal business plan.

Fsi sgr, guidata dall’amministratore delegato Maurizio Tamagnini, ha impegni di capitale per 1,4 miliardi con partecipazioni in Cedacri, Kedrion Biopharma (in tandem con Cdp Equity), Missoni, Adler Group e Lumson. L’sgr è controllata al 51% dal management e partecipata sinora al 39% da Cdp e al 9,9% da Poste Vita (si veda altro articolo di BeBeez). 

F2i sgrguidata da Renato Ravanelli, ha asset in gestione per 4,8 miliardi. Ricordiamo che nel dicembre scorso in tandem con Asterion Capital ha rilevato il controllo di Sorgenia per circa un miliardo di euro (si veda altro articolo di BeBeez). Nel novembre 2019 ha ottenuto il via libera dell’Antitrust all’acquisizione di Persidera spa da parte del suo Terzo fondo (si veda altro articolo di BeBeez), che ha chiuso la raccolta a 3,6 miliardi di euro nel novembre 2018 (si veda altro articolo di BeBeez). Il capitale dell’sgr è controllato da Cdp, Unicredit e Intesa Sanpaolo, ciascuno con il 14%, e da Ardian con l’8,4% e per il resto da fondazioni e casse di previdenza, con molti azionisti che sono anche i sottoscrittori dei fondi F2i.

QuattroR è una sgr specializzata in ristrutturazioni, guidata da Francesco Conte. L’omonimo fondo detiene in portafoglio Trussardi, Fagioli e Ceramiche Ricchetti. QuattroR ha attualmente allo studio l’ingresso in aumento di capitale in Burgo, lo storico gruppo cartario di Altavilla Vicentina (si veda altro articolo di BeBeez). Il capitale dell’sgr fa capo per il 60% al management e per il resto a Cdp (si veda altro articolo di BeBeez).

Fondo Italiano d’Investimento sgr gestisce asset per 2,7 miliardi di euro. Nel dicembre scorso Cdp è salita dal 43% al 68% della società di gestione. A vendere sono state Banca Monte dei Paschi di Siena e DEPObank, che hanno ceduto il 12,5% ciascuna, mentre restano azionisti Intesa San Paolo e Unicredit, con il 12,5% ciascuno, e ABI e Confindustria, con il 3,5% ciascuna (si veda altro articolo di BeBeez). Contestualmente, l’sgr ha cambiato i vertici, nominando in particolare amministratore delegato Antonio Pace e presidente Andrea Montanino (si veda altro articolo di BeBeez).

Invitalia Ventures sgr è la società di gestione di fondi di venture capital che sarà utilizzata da Cdp per gestire il miliardo di euro di asset del Fondo Nazionale Innovazione (si vedano qui altro articolo di BeBeez e qui l’Insight View dedicata ai lettori di BeBeez News Premium, scopri qui come abbonarti a soli 20 euro al mese). Nell’agosto 2019, Invitalia spa ha siglato il closing con Cassa Depositi e Prestiti per la vendita del 70% del capitale sociale della sgr. L’operazione era attesa da mesi: la  direttiva firmata nel febbraio 2019 dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, prevista dalla Legge di Bilancio 2019, autorizzava la cessione da parte di Invitalia spa del 70% del capitale sociale di Invitalia Ventures sgr, a prezzo di mercato e a patto che Cdp apportasse risorse aggiuntive, almeno pari all’ammontare delle risorse pubbliche già in gestione alla sgr (si veda altro articolo di BeBeez).


Moby brucia ancora cassa, continua la guerra tra la famiglia Onorato e i fondi obbligazionisti

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Il bond di Moby alla Borsa del Lussemburgo

Schermata 2020-01-06 alle 13.30.03Ricavi in crescita a 501,3 milioni di euro per la compagnia armatoriale Moby nei nove mesi 2019 a fine settembre dai 478,8 milioni dei nove mesi 2018, con un ebitda ricorrente a sua volta in rialzo a 118,6 milioni (da 68,3 milioni) al netto degli effetti del nuovo standard contabile IFRS16, con un debito finanziario netto in rialzo a 591,3 milioni (da 558,6 milioni), che però al lordo dell’impatto dell’IFRS16 diventa di 728,5 milioni. Sono i risultati consolidati dei nove mesi diffusi da Moby lo scorso 12 dicembre, che evidenziano un ulteriore netto peggioramento della situazione della cassa: in nove mesi, infatti, il gruppo armatoriale ha bruciato oltre 115,9 milioni di euro dopo i 108,1 milioni bruciati nei primi nove mesi del 2018, mentre tra gennaio e giugno era stata bruciata cassa per 83,1 milioni (si veda altro articolo di Schermata 2020-01-06 alle 13.30.40BeBeez). A fine settembre, quindi, Moby aveva cassa per 56,2 milioni contro gli 89 milioni di euro di fine giugno e contro i  125,5 milioni di cassa che aveva a fine settembre 2018.

Proprio a seguito dei numeri della semestrale, i fondi obbligazionisti (tra cui Soundpoint Capital, Cheyenne Capital e York Capital, affiancati sul piano legale da DLA) nel settembre 2019 avevano presentato al Tribunale di Milano un’istanza di fallimento nei confronti di

Il bond di Moby alla Borsa del Lussemburgo

Il bond di Moby alla Borsa del Lussemburgo

Moby,  lamentando un’insolvenza prospettica e futura, prevedibile nel febbraio 2020, quando Moby dovrà pagare la cedola sul bond da 300 milioni di euro, con ha scadenza 15 febbraio 2023 e cedola del 7,75%, negoziato alla Borsa del Lussemburgo (si veda altro articolo di BeBeez) e che ormai da mesi quota attorno a 35,5 centesimi. Il Tribunale di Milano, con un decreto depositato il 9 ottobre 2019, ha respinto l’istanza di fallimento presentata dai fondi, che sono stati anche condannati al pagamento delle spese giudiziarie (si veda altro articolo di BeBeez). Il Tribunale comunque aveva messo in guardia Moby, scrivendo che avrebbe necessità di monitoraggio e di ricorrere a strumenti di superamento di una crisi che in prospettiva ha caratteristiche importanti e che potrebbero divenire molto gravi.

Già i numeri 2018 avevano dimostrato un equilibrio precario (si veda altro articolo di BeBeez). Il risultati del 2018, presentati al mercato il 30 aprile, avevano infatti evidenziato un ebitda ricorrente quasi ridotto a un terzo di quello del 2017 (47,5 milioni contro 131,6 milioni), che aveva portato a una perdita netta di 62,7 milioni, da un utile netto di 22,9 milioni l’anno prima. Il tutto bruciando 57,5 milioni di euro di cassa, mentre nel 2017 si era generata cassa per 71,6 milioni di euro. Nel 2018 aveva invece  tenuto il fatturato, con ricavi solo in leggera discesa a 584,3 milioni dai precedenti 586,2 milioni. Contemporaneamente il debito finanziario netto era salito a quota 590 milioni dai 496,4 milioni di fine 2017. Un mix che aveva portato al non rispetto dei covenant finanziari stabiliti in origine in relazione al debito senior per dicembre 2018, tanto che far classificare a bilancio l’intero debito senior tra i debiti a breve termine, sebbene le caratteristiche del prestito, scadenza compresa, siano rimaste quelle originarie. Le banche hanno comunque accettato di venire incontro a Moby e hanno sostanzialmente dato un anno di tempo per sistemare la situazione.

I numeri della semestrale 2019 presentati lo scorso 12 settembre avevano invece evidenziato un netto miglioramento sia a livello di ricavi sia a livello di recurring ebitda rispetto al semestre 2018, con i primi a quota 253,6 milioni (+8,7%) e il secondo a quota 47,8 milioni (+19%), a fronte di un debito finanziario netto di 721,7 milioni, in netto aumento per effetto dell’applicazione del nuovo standard contabile IFRS 16 (sarebbe sceso a 574,3 milioni senza IFRS 16). In netto peggioramento era però era stata appunto la situazione della cassa. Nei primi sei mesi del 2019 il gruppo ha bruciato 83,1 milioni di euro di cassa contro il 28,7 milioni bruciati nel primo semestre 2018. A fine giugno quindi Moby aveva cassa per 89 milioni di euro contro i 204,9 milioni di cassa che aveva a fine giugno 2018.

Intanto lo scorso 13 dicembre scorso i fondi obbligazionisti hanno inviato una lettera in cui contestano all’azienda e all’azionista, la famiglia Onorato, alcune operazioni in violazione dei covenant sul debito. Lo riferisce Reorg, secondo cui gli obbligazionisti, assistiti da White & Case e dall’avvocato Francesco Gatti, contestano una serie di violazioni, tra cui: il pagamento dei canoni per il noleggio di alcune navi da parte di Moby alla società di famiglia, la Fratelli Onorato e l’acquisto da parte dell’azienda di un appartamento in piazza San Babila a Milano da Vincenzo Onorato per 7 milioni di euro. Moby ha bollato le accuse come “un altro inutile tentativo da parte di un piccolo gruppo di obbligazionisti di esercitare pressioni sulla società a seguito del già rigettato ricorso presso il tribunale di Milano”.



Covivio compra da Varde Partners otto hotel ex Boscolo per 573 mln euro e uno da Tifco per 45 mln

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Palazzo Naiadi - Roma
Palazzo Naiadi - Roma

Palazzo Naiadi a Roma

Passano a Covivio Hotels, gli otto hotel di lusso ex Boscolo, oggi a marchio The Dedica Anthology, controllati da Varde Partners. Covivio ha infatti annunciato ieri di aver firmato un contratto per l’acquisizione nove hotel in Europa per un valore complessivo di 620 milioni di euro, di cui otto hotel in Italia, Francia, Ungheria e Repubblica Ceca (appunto gli ex Boscolo) per un totale di 573 milioni di euro e un rendimento target del 5,8%, di cui il 4,7% minimo garantito (si veda qui il comunicato stampa di Covivio e qui quello di Varde); e l’hotel Hilton Dublin Kilmainham  a 4 stelle nel centro di Dublino per 45,5 milioni di euro, con un rendimento del 6,4%. A vendere è Tifco Hotel Group, che continuerà a gestire l’albergo, e per Covivio è la prima acquisizione in Irlanda (si veda qui l’Irish Times).

L’hotel di Dublino con 120 camere beneficerà di un progetto di conversione delle sale riunioni in 10 camere aggiuntive da qui al 2021, generando una creazione di valore superiore al 10%. Quanto agli altri hotel, si tratta di alberghi situati a Roma (Palazzo Naiadi), Firenze (Palazzo Gaddi), Venezia (Dei Dogi; Bellini), Budapest (NY Palace; NY Residence), Praga (Carlo IV) e Nizza (Hotel Plaza). Gli hotel, prevalentemente a 5 stelle, contano 1.115 camere. Saranno gestiti con i marchi NH Collection, NH Hotels e Anantara Hotel & Resorts (un marchio di altissima gamma ben consolidato nei mercati asiatici che il Gruppo NH Hotel sta introducendo attualmente in Europa).

dettagli portafoglioPer questo motivo, Covivio e NH Hotel Group (parte di Minor International) hanno firmato dei contratti di locazione “triple net2” di lungo termine, con canone minimo garantito variabile. L’accordo ha una durata iniziale di 15 anni, estendibile su opzione di NH Hotel Group fino a 30 anni. La collaborazione tra le due società è iniziata nel 2014. Covivio sta perseguendo un programma di lavori per l’intero portafoglio che mostra un importante potenziale di crescita.

Guidata dal ceo Stephen Alden e dal cfo  Alessandro GrassivaroIngrid Hotels spa, cui fa capo il brand The Dedica nthology e che detiene e gestisce un portafoglio paneuropeo di hotel di lusso che comprende anche Palazzo Matteotti a Milano. Värde aveva comprato il gruppo Boscolo nell’aprile 2017  per un equity value complessivo di circa 150 milioni di euro e per un enterprise value di 500 milioni, dopo aver acquisito il 90% dei 350 milioni di euro di debito del gruppo da oltre 20 soggetti finanziatori in 9 diverse operazioni sul mercato secondario a partire da metà 2016 (si veda altro articolo di BeBeez). L’operazione di acquisizione da parte di Värde era stata finanziata in parte da Deutsche Bank ed era poi stata rifinanziata a dicembre 2018 con un bond da 337 milioni di euro sottoscritto da Blackstone e quotato alla Borsa di Vienna (si veda altro articolo di BeBeez).
Francisco Milone, partner e responsabile del real estate per l’Europa di Värde Partners, ha commentato: “Al momento dell’acquisizione, l’attività era in gravi difficoltà finanziarie e aveva un futuro incerto davanti a sé. Abbiamo nominato una squadra di manager best-in-class e, insieme, abbiamo ricostituito la fiducia dei partner finanziari, un fattore che ci ha permesso di rifinanziare il business e attuare un ambizioso programma d’investimento. In generale, la strategia di investimento immobiliare di Värde è focalizzata su asset di tipo opportunistico o value-added nei segmenti commerciale e residenziale. Stiamo continuando a valutare opportunità di investimento anche nel mercato italiano.”

Covivio Hotels è una società partecipata al 43,2% da Covivio, il braccio immobiliare di Leonardo Del Vecchio, nato a fine 2018 dalla fusione tra Beni Stabili e Fonciere des Regions. La società gestisce 6,9 miliardi di euro di hotel in Europa in un portafoglio di 24 miliardi di euro. Oggi è partner di circa 20 catene alberghiere, che rappresentano circa 30 marchi distribuiti su 12 Paesi europei, con un patrimonio costituito al 76% da immobili di fascia media e alta. Dominique Ozanne, deputy ceo di Covivio, ha dichiarato:“ Più di un anno dopo l’ingresso nel mercato UK, Covivio prosegue lo sviluppo europeo della sua attività alberghiera posizionandosi al centro di città che figurano fra le 20 più importanti destinazioni turistiche in Europa. Al contempo, rafforziamo la qualità del nostro patrimonio, di cui l’85% è situato in grandi città europee, e la nostra partnership con attori leader del settore alberghiero”.

Ricordiamo che Covivio nel dicembre 2019 ha ceduto al fondo Alpha Square di Castello sgr e Quinta Capital Partners il centro commerciale Auchan di Nerviano, nel milanese. Covivio, secondo quanto riportato da MF-Dow Jones nel maggio 2019, sarebbe in trattative anche per cedere i centri commerciali Le Fornaci di Beinasco, in provincia di Torino (una galleria di 120 negozi e 4mila posti auto che si estende su una superficie di 56.225 metri quadri) e Ducale di Vigevano, in provincia di Pavia (con una superficie totale di quasi 40mila metri quadrati, 60 tra store e ristoranti e 54mila mq di parcheggio). Queste ultime cessioni dovrebbero concludersi nei prossimi mesi, smantellando così l’intero portafoglio retail italiano di Covivio. Inizialmente il fondo Oaktree era in trattativa con Covivio e il suo advisor Bnp Paribas per rilevare tutti e tre i centri commerciali per un prezzo attorno ai 300 milioni di euro, ma poi l’affare è sfumato (si veda altro articolo di BeBeez).

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I-RFK sbarca su Euronext a 1,19 euro per azione dopo la campagna di equity crowdfunding

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Schermata 2020-01-07 alle 06.30.00

Schermata 2020-01-07 alle 06.30.00La società di investimento in startup e pmi innovative Innovative-RFK spa (i-RFK spa) è sbarcata su Euronext Access lo scorso 27 dicembre 2019 (si veda qui l’avviso), chiudendo l’ultimo passaggio del processo di crowdlisting iniziato a settembre con una campagna di equity crowdfunding sulla piattaforma CrowdFundMe, che ha raccolto 2,5 milioni di euro, pari al 23,5% del capitale (si veda altro articolo di BeBeez). La quotazione è avvenuta con quotazione diretta sul mercato, senza ulteriore raccolta presso gli investitori.

Hanno investito in i-RFK oltre 70 investitori, con un chip minimo di 20 mila euro e un investimento medio di 35 mila euro. La società era stata valutata pre-money 8 milioni di euro. Su Euronext, quindi, è sbarcata con una valutazione post-money di 10,5 milioni.

Innovative-RFK (i-RFK) spa è stata fondata nel 2017 da Paolo PescettoMassimo Laccisaglia Andrea Rossotti, forti dell’esperienza di Red-Fish Kapital, società che opera nel campo degli investimenti in private equity con investimenti per circa 50 milioni di euro in modalità club deal. Investe in startup innovative con un track record positivo sia per fatturato che per profitto, già mature e che potrebbero essere quotate all’Aim, a multipli di ebitda pari  a 5-7 volte, con un ticket medio di investimento di 500mila-2 milioni di euro, posizionandosi a metà strada tra private equity e venture capital, similmente al veicolo StarTip di Tamburi Investment Partners.

A oggi, i-RFK ha già investito circa 6,5 milioni di euro coinvolgendo 50 investitori privati e qualificati, ottenendo un Irr annuo sopra al 30% e stimato al 50% nel 2019. Innovative-RFK conta a oggi cinque partecipate: Keisdata; Easy4Cloud; WebsoluteInventis; Microcredito di Impresa. Quest’ultima ha raccolto di recente oltre 1,7 milioni di euro nella sua campagna di equity crowdfunding sulla piattaforma BacktoWork (si veda altro articolo di BeBeez). La valutazione delle partecipazioni delle cinque aziende in portafoglio è di 11,8 milioni di euro, ma ai fini della quotazione è stato mantenuto il valore dell’ultimo aumento di capitle e quindi 10,5 milioni di euro, che spalmato sul numero totale di azioni (circa 8,79 milioni) diventa 1,19 euro per azione (si veda qui il Documento di registrazione).

Schermata 2020-01-07 alle 06.19.14


CR Orvieto verso SRI e Argenthal per 55,5 mln euro

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CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETO

CASSA DI RISPARMIO DI ORVIETOBanca Popolare di Bari avrebbe ceduto la sua partecipazione (pari al 73,57%) in Cassa di Risparmio di Orvieto per 55,5 milioni di euro a un pool di investitori. Lo ha scritto lo scorso venerdì 3 gennaio il Corriere della Sera.

L’istituto commissariato da Banca d’Italia il 13 dicembre 2019 ha immediatamente precisato che “allo stato non risulta stipulato alcun accordo. Sarà cura della banca comunicare tempestivamente gli esiti delle interlocuzioni in corso, al momento in essere con società facenti parte di SRI Group Holding Company (cfr. comunicato dell’8 agosto 2019)”. In quell’occasione la banca aveva precisato che “in riferimento alla cessione del pacchetto di controllo della Cassa di Risparmio di Orvieto (73,5% attualmente detenuto dalla BPB), dopo la Schermata 2020-01-06 alle 15.01.58ricezione, il 13 giugno scorso, di un’offerta vincolante da parte di SRI Global Limited, la banca ha ricevuto una ‘confirmatory binding’ a  fronte della quale ha concesso l’esclusiva per la cessione della quota di partecipazione della controllata. L’operazione sarà conclusa entro la fine dell’anno, con benefici sostanziali sul livello dei ratio patrimoniali”.

Fondato nel 2001 dal finanziere bolognese Giulio Gallazzi, SRI Global è un investitore di private equity attivo nei settori fintech, ambiente hi-tech e beni di consumo ed è attivo anche sul fronte della consulenza m&a e corporate finance. In particolare, a SRI fa capo anche Hept, joint venture con Hera, che si occupa di servizi ambientali e impianti di termovalorizzazione. SRI opera in Europa, con uffici a Londra, Bruxelles, Lussemburgo, Milano e Roma, e in Asia, con uffici a Shanghai, Pechino e altre due filiali. Secondo quanto riferisce Il Corriere della Sera, SRI starebbe acquisendo CR Orvieto in cordata con il fondo francese Argenthal Capital Partners, basato ad Aix-en-Provence. Argenthal è un investitore di private equity con focus su tecnologia, healthcare e servizi finanziari. Fondato da Francois Garcin, il gruppo Argenthal, oltre che in private equity, è specializzato in servizi finanziari, real estate e metalli per l’alta tecnologia e gestisce Alkemia sca, una holding di investimento con un patrimonio di circa 1,6 miliardi di euro.  Lo scorso settembre ha comprato l’asset manger francese Thesaurus (si veda qui il comunicato stampa). In totale Argenthal ha 2 miliardi di euro di asset in gestione.

Cassa di Risparmio di Orvieto era stata acquisita da Banca Popolare di Bari 10 anni fa.  Ultimamente i rapporti tra le due banche erano tesi. Nel luglio 2019, in occasione dell’ultima assemblea di bilancio, il presidente della Fondazione CR Orvieto, Gioacchino Messina, mosse critiche pesantissime ai vertici della Bari. In una lettera aperta ai cittadini, inviata a OrvietoSì. Messina sottolineava, da un lato, i buoni risultati di bilancio della banca (margine d’interesse 22 milioni di euro, commissioni nette 14,5 milioni, margine di intermediazione 32 milioni, margine operativo netto 27,1 milioni, utile prima delle operazioni straordinarie 3,4 milioni e CET1 dell’11,79%); dall’altro imputava a PopBari di aver messo in essere operazioni straordinarie che l’avevano vista diretta ed esclusiva beneficiaria. In particolare, “(i) la svalutazione di un avviamento formatosi nel 2011, a fronte del conferimento di sportelli e di crediti effettuato, appunto, in occasione di un aumento di capitale di CRO, dalla Banca Popolare di Bari per 30,928 milioni di euro, mentre la Fondazione conferiva denaro, in proporzione alla sua partecipazione; (ii) la cartolarizzazione massiva di crediti deteriorati, fatta tra controllante (Banca Popolare di Bari) e controllata (CRO).
La prima, ha generato una perdita di € 32 milioni, e la seconda, di € 5 milioni circa, che, sommate algebricamente ai risultati positivi della gestione caratteristica, hanno condotto al risultato negativo, per l’anno 2018, di circa € 32 mln”.


Rivalutazione delle quote societarie e m&a, le ultime novità dell’Agenzia delle Entrate

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leveraged cash-out

leveraged cash-outUna recente pronuncia dell’Agenzia delle Entrate ha riacceso il dibattito sull’abuso del diritto in  relazioni a operazioni di m&a precedute da rivalutazione di quote societarie.

L’Agenzia delle Entrate con la risposta 537 del 24 dicembre 2019 a un interpello ha infatti precisato che una scissione parziale non proporzionale a seguito di cessione delle quote rivalutate non può essere considerata abuso del diritto, se è attuata con un’operazione conforme a normali logiche di mercato, come il recesso atipico, in relazione al raggiungimento di un obiettivo economico, quale la concentrazione del controllo totalitario delle partecipazioni cedute in capo alla società che andrà a scindersi.  Nello specifico si trattava di operazioni preordinate a consentire di effettuare un passaggio generazionale a favore dei figli.

In particolare, sottolinea l’Agenzia delle Entrate, “con specifico riferimento poi alla scissione parziale non proporzionale (…)  si ritiene che l’operazione di scissione societaria prospettata non comporti il conseguimento di alcun vantaggio fiscale indebito ai fini delle imposte sui redditi, risultando atto fisiologico a riorganizzare le società attive nel core business del Gruppo Alfa, separando le partecipazioni dei due fratelli in due newco unipersonali”.

Diversa opinione, invece, ha espresso l’Agenzia delle Entrate con il principio di diritto n. 20 del 23 luglio 2019, in cui ha analizzato un’operazione cosiddetta di merger leveraged cash out, che prevede che i soci persone fisiche di una società (target) rivalutino le partecipazioni ai fini fiscali e le cedano a un’altra società (veicolo), partecipata da uno o più dei precedenti soci, che successivamente viene incorporata dalla target. Quando la società cessionaria si indebita per il pagamento delle quote, si parla di leverage cash out. Più nel dettaglio, il temine cash out identifica un’operazione societaria elusiva, quando esclusivamente mirata a prelevare denaro dalla società a fronte di un’aliquota fiscale contenuta.

Questa operazione, dice l’agenzia delle Entrate, “in cui i soci persone fisiche di una società (target) rivalutano le partecipazioni ai fini fiscali e le cedono a un’altra società (veicolo), partecipata da uno dei quattro soci cedenti e dai suoi due figli (soci di maggioranza), che successivamente viene incorporata dalla target, consente di ottenere un vantaggio fiscale consistente nell’azzeramento della tassazione dell’incasso diretto (i.e. in assenza di rivalutazione e cessione delle partecipazioni) degli utili da parte dei soggetti cedenti. Il vantaggio fiscale conseguito è da considerarsi indebito e le operazioni poste in essere prive di sostanza economica ed essenzialmente finalizzate al conseguimento del vantaggio fiscale limitatamente a uno dei genitori cedenti che conserva particolari poteri nella società target: partecipazione nella conduzione della società target, potere di veto in caso di disaccordo tra i figli, possibilità di riacquisire il controllo della società target in presenza di inefficienze tali che, a giudizio del collegio sindacale, possano mettere in pericolo la governance e/o la solidità patrimoniale e/o la solidità finanziaria e/o economica della società target. In queste circostanze, il vantaggio fiscale conseguito si pone in contrasto con la ratio delle disposizioni normative che disciplinano la rivalutazione ai fini fiscali delle partecipazioni consistente nel favorire la circolazione delle stesse e consiste nella possibilità di incassare gli utili della società target nonostante non si ponga in essere un effettivo disinvestimento delle partecipazioni detenute. Il suddetto vantaggio fiscale indebito non risulterà, comunque, effettivamente conseguito fintanto che non siano incassati i relativi pagamenti da parte del genitore cedente”.

Il tema è stato approfondito lo scorso 28 novembre in occasione del convegno di IsideOperazioni di conferimento, finanziamento e rivalutazione delle partecipazioni“, cui hanno partecipato, tra gli altri, Paolo De Capitani da Vimercate (Studio Uckmar) e Carlo Nocerino, procuratore della Repubblica vicario presso il tribunale di Brescia.

De Capitani ha spiegato che il MLCO potrebbe costituire un abuso del diritto nel caso in cui: sia circolare (il corrispettivo pagato non è legato al valore effettivo delle quote acquistate e il contratto di compravendita prevede clausole tipiche di questi contratti cui però non viene dato seguito); la newco debba attendere la distribuzione degli utili per acquisire la liquidità necessaria per sostenere il costo d’acquisto della target; cedente e cessionario coincidano nella sostanza (“la newco è una fotocopia della target”, ha detto Nocerino). In tal caso, il MLCO contrasta con la finalità delle norme fiscali, perché aggira la ratio della disciplina della rivalutazione, finalizzata a favorire la circolazione delle partecipazioni e al contempo apporta un indebito vantaggio fiscale, in quanto si incassa la liquidità della società target come corrispettivo di vendita e non come dividendo (si veda qui la presentazione completa). L’elusione infatti è “legittima solo se segue una ragionevole prassi commerciale, ossia ha un obiettivo economico”, ha spiegato Nocerino. Ad ogni modo, Nocerino ha precisato che il meccanismo penale di contestazione della frode fiscale non scatta in automatico, ma si valuta caso per caso. Scatta se l’operazione è simulata oppure si configura un’interposizione fittizia, ossia la newco è utilizzata unicamente per risparmiare sulle tasse.


Parte la sperimentazione della gestione delle fideiussioni tramite blockchain. Coinvolti Cetif (Università Cattolica), Sia e Reply

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cetif sia reply blockchain

cetif sia reply blockchainParte in questo mese di gennaio la sperimentazione della gestione delle fideiussioni tramite blockchain. Nel progetto “Fideiussioni digitali” (si veda qui il comunicato stampa) sono coinvolti Cetif (Centro di Ricerca in Tecnologie, Innovazione e Servizi Finanziari dell’Università Cattolica di Milano), Sia (il gruppo di servizi e infrastrutture di pagamento controllato da Cdp Equity) e Reply (società quotata a Piazza Affari, specializzata nella progettazione e nell’implementazione di soluzioni basate sui nuovi canali di comunicazione e media digitali).

Il progetto, promosso da Banca d’Italia e Ivass (Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni), ha l’obiettivo di ridurre il numero di false fideiussioni (oltre 1,6 miliardi negli ultimi 4 anni, stando ai dati della Guardia di Finanza), facilitare la condivisione di informazioni tra i diversi attori e garantire la sicurezza dell’intero processo.

Il progetto è stato lanciato dopo uno studio di fattibilità di circa 4 mesi, che ha coinvolto una trentina di soggetti primari del comparto assicurativo, bancario e finanziario, della pubblica amministrazione e delle imprese. La soluzione “Fideiussioni Digitali” sarà sviluppata all’interno di una sandbox, ovvero un ambiente di sperimentazione su dati reali sotto la supervisione di un Comitato Scientifico composto da Banca d’Italia, Ivass, Cetif, Sia, Reply e altri aderenti all’iniziativa. Il concetto di sandbox è stato sdoganato in Italia dal DL Crescita nel giugno 2019 (si veda altro articolo di BeBeez).

 


The Everstone Group investe in Slayback Pharma. VIG Partners raccoglie 800 mln $ per il quarto fondo

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The Everstone Group

The Everstone GroupThe Everstone Group investirà sino a 50 milioni di dollari in un un round di serie B dell’azienda farmaceutica Slayback Pharma, fondata dal ceo Ajay Singhaffiancandosi nel capitale a KKR, che per primo ha investito in Slayback con un impegno di 60 milioni di dollari nel dicembre 2016 (si veda qui prnewswire). Slayback è attiva negliusa, inIndia e in Europa. Il nuovo capitale verrà utilizzato per espandere e accelerare ulteriormente la già ricca e differenziata pipeline di prodotti farmaceutici generici e speciali di Slayback. Oltre all’investimento, gli amministratori delegati di Everstone, Arjun Oberoi e Puncham Mukim, entreranno a far parte del consiglio di amministrazione di Slayback. Everstone ha focus di investimento soprattutto in India e sud-est asiatico. Sameer Sain, co-fondatore e ceo di Everstone , ha dichiarato: “L’esperienza di Slayback in generici complessi si adatta bene alla nostra strategia di investimento nel settore sanitario. Slayback si unisce al nostro elenco di importanti investimenti nel settore sanitario e siamo ottimisti circa il potenziale commerciale della pipeline altamente differenziata di Slayback di complessi generici sviluppati dal suo forte team di ricerca e sviluppo in India”.

VIG PartnersVIG Partners con sede a Seul e Hong Kong, ha annunciato il closing finale della raccolta del suo quarto fondo di buyout focalizzato sulla Corea con un totale di 810 milioni di dollari in impegni (si veda qui asiatechdaily).  Il fondo, VIG Partners Fund IV, ha superato l’obiettivo iniziale di 800 milioni di dollari. La società di private equity aveva chiuso il suo terzo fondo nel 2017 a 600 milioni. Gli investitori includono fondi pensione, fondi sovrani, compagnie assicurative globali, fondi di fondi e family office provenienti da Asia, Medio Oriente, Europa, Canada e Stati Uniti. Il fondo acquisirà posizioni di controllo in società coreane con un enterprise value compreso tra 70 e 500 milioni di dollari. Il nuovo veicolo ha già effettuato il suo primo investimento, acquisendo una partecipazione di controllo nel principale fornitore coreano di servizi di istruzione mista online e offline D.Share per 140 milioni di dollari. VIG Partners è stata fondata nel 2005 per investire in piccole e medie imprese in vari settori, come beni di consumo, commercio online e mobile, servizi finanziari ed elettrodomestici. VIG è stata una delle prime società di private equity fondate in Corea e ha circa 3 miliardi di dollari Usa di asset in gestione. Il portafoglio attuale di VIG comprende il produttore di lenti Samyang Optics, il produttore di sedie da massaggio Bodyfriend, il produttore di finestre in PVC Winche, il fornitore di servizi di gestione del parcheggio Hi Parking, il fornitore di servizi funebri Joun Life, il produttore di maschere per il viso PNC, il produttore di tomaie in tessuto Winplus, il rivenditore di lenti a contatto Starvision e Fried Bonchon, franchisor di ristoranti specializzati in pollo. MVision Private Equity Advisers Asia Limited, con sede a Hong Kong, è stato consulente strategico di raccolta fondi per il fondo IV. MVision era stato anche il placement agent del fondo III.


Sirius Real Estate compra parchi commerciali, uno a Dusseldorf e l’altro a Brandeburgo. PGIM Real Estate compra uffici a Berlino

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Sirius Real Estate

Sirius Real EstateSirius Real Estate ha completato le acquisizioni di Neuss II, un parco commerciale vicino a Dusseldorf, e Neuruppin Business Park, nella regione di Brandeburgo, per un totale complessivo di 33,4 milioni di euro, riflettendo un rendimento complessivo netto del 6,8% (si veda qui il comunicato stampa). Originariamente costruito nel 1987 e ampliato, Neuss ll offre un totale di 34.000m² di spazio disponibile netto (21.900m² di magazzino / produzione, 11.700m² di ufficio e 400m² di altro spazio), insieme a 371 posti auto, su una superficie totale di 58.800m². La struttura si trova sulla Fuggerstrasse a Neuss, 9,5 km a sud del centro di Dusseldorf. Sirius possiede già un edificio per uffici di 18.000 m² a Neuss e altri due parchi commerciali a Dusseldorf. L’asset è locato all’81,5% a sedici inquilini e produce un reddito annuo di 1,3 milioni di euro, che riflette un prezzo medio di 3,84 euro al metro quadro, e ha un WALT residuo di 4,4 anni. Gli inquilini includono Max Mothes, Steep GmbH, Dinax GmbH  e Feag Gmbh. La proprietà è stata acquisita da un family office regionale per  19,1 milioni (inclusi i costi di acquisizione), per un rendimento iniziale netto del 5,4%. Quanto al Neuruppin Business Park, costruito originariamente nel 1992 e da allora ampliato, ioffre 22.400 m² di spazio disponibile netto (12.600 m² di spazio di produzione, 7.200 m² di spazio di magazzino e 2.600 mq di uffici), insieme a 169 posti auto su una superficie totale di 108.200 m². La struttura si trova 4,3 km a sud del centro di Neuruppin, 75 km a nord-ovest di Berlino. Neuruppin probabilmente trarrà vantaggio da un progetto di ampliamento dell’infrastruttura stradale che collega Berlino e Amburgo, che dovrebbe essere completato nel 2022. L’asset è affittato al 100% a un singolo inquilino, ESE GmbH, il principale produttore europeo di sistemi di stoccaggio temporaneo per rifiuti e materiali riciclabili, con un contratto di locazione di 5,5 anni e un canone annuo di 1,3 milioni di euro, che riflette un prezzo di 4,97 euro al metro quadro . La proprietà è stata acquisita da Otto Immobilien GmbH & Co. KG per 14,3 milioni  di euro (inclusi i costi di acquisizione), per un rendimento netto iniziale dell’8,6%.

PGIM Real EstatePGIM Real Estate ha acquisito un edificio per uffici a Berlino dal Gruppo PPF (si veda qui Europe – re). La struttura si trova nel quartiere centrale degli affari della città di Berlino Ovest e ha una superficie totale di circa 24.500 m² distribuita su nove piani, con due piani sotterranei contenenti 410 posti auto. La proprietà multi-tenant ha una struttura diversificata e un tasso di occupazione del 91%. Gli inquilini includono società come BDO, Union Investment, Kaufhof Group e Institute for Quality Assurance e Transparency in Health Care. Situato in Katharina-Heinroth-Ufer 1, l’edificio per uffici si trova a pochi passi dal Kurfurstendamm, dal centro commerciale Bikini Berlin e dal Tiergarten di Berlino ed è ben collegato alla rete di trasporto pubblico. Il prezzo di acquisto non è stato reso noto. Dominik Brambring, responsabile delle transazioni per Germania e Paesi Bassi presso PGIM Real Estate, ha dichiarato: “Berlino è un mercato immobiliare con un potenziale di crescita significativo. Continua a ottenere il riconoscimento da parte di aziende nazionali e internazionali, generando una forte domanda di spazi per uffici adeguati, compensata da un’offerta relativamente bassa”. Di recente PGIM Real Estate sempre a Berlino ha acquisito la torre per uffici di Berlino STREAM da SIGNA (si veda altro articolo di BeBeez).



Le novità fiscali in tema di crisi d’impresa ed esperti a confronto sulla gestione degli Utp nella newsletter di dicembre di TMA

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TMA

TMAMentre il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 ) entrerà in vigore completamente il prossimo 15 agosto 2020, chi sta gestendo procedure concorsuali si preoccupa di capire come essere in regola con le nuove norme per non avere sorprese non gradite.

Un tema caldo è certamente quello della gestione dei debiti fiscali, anche perché lo scorso settembre l’Agenzia delle Entrate è a sua volta intervenuta sul tema, con delle precisazioni che modificano la posizione presa poco più di un anno prima con la circolare del 23 luglio 2018.  Non solo. Negli ultimi mesi si sono succeduti gli interpelli all’Agenzia delle Entrate per chiarire aspetti fiscali dubbi nell’ambito di procedure. Di tutto questo tratta la newsletter di dicembre di TMA Italia, l’associazione italiana dei turnaround manager (Turnaround Management Association), curata da BeBeez e dedicata agli associati. Gli abbonati a BeBeez News Premium possono leggere l’inchiesta qui (scopri qui come abbonarti).

La newsletter riporta anche i punti di vista di vari esperti che lo scorso 5 dicembre 2019 si sono confrontati nel corso del convegno nazionale di TMA, intitolato “Utp: What’s going on?”. Il punto cruciale è infatti come superare la logica del single name. Relativamente facile, infatti, è individuare nel portafoglio delle banche i crediti medio-grandi verso aziende di medie e grandi dimensioni, acquistarli e impostare un’operazione di turnaround. Altra cosa è avere a che fare conn portafogli di migliaia di piccole posizioni verso pmi distribuite in tutta Italia.


Beez Peak – 7 gennaio 2020

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Beez Peak

Beez PeakDopo il boom del 2018, l’attività di m&a a livello globale ha registrato un lieve calo con un volume di transazioni equivalente a un totale di oltre 3740 miliardi di dollari, in discesa del 2% dai 3863 miliardi del 2018, anno in cui però si era registrato un balzo del 14% rispetto al volume dei deal dell’anno prima. Il dato, aggiornato al giorno di Natale, è di Dealogic nella mappa in tempo reale pubblicata sul sito del Wall Street Journal, dove si vede anche che l’Europa è il fanalino di coda, con un crollo dell’attività del 29% sul 2018 a quota 755 miliardi di dollari, mentre hanno fatto bene gli Usa (+13% a circa 1800 miliardi di dollari) e soprattutto il Giappone (+55% a oltre 135 miliardi). In Europa, comunque, l’Italia ha contribuito in maniera importante alle statistiche, se si pensa che tra le dieci operazioni top per controvalore annunciate nell’anno ce ne sono ben quattro dove compare una controparte italiana. Parliamo di Peugeot-FCA, Essilor-Luxottica-Grandvision, Inwit- Vodafone Italy.

Ma a parte i grandi deal, in Italia si è registrata una fervente attività anche sul fronte delle operazioni di dimensioni medio-piccole che hanno coinvolto operatori di private equity sia in acquisto sia in vendita. Lo calcola BeBeez Private Data (scopri qui come abbonarti a soli 110 euro al mese). Il dato preliminare, aggiornato alla vigilia di Natale, è di 313 operazioni annunciate ufficialmente o già concluse e si confronta con le 198 operazioni che hanno coinvolto società italiane nel 2018. Più nel dettaglio, gli investimenti diretti da parte di fondi di private equity in aziende italiane sono stati 148 contro i 91 deal di questo tipo registrati nel 2018. Agli investimenti diretti dei fondi vanno poi aggiunti 78 investimenti cosiddetti add-on, cioè acquisizioni di aziende condotte tramite aziende già in portafoglio a fondi e che in molti casi si inseriscono in progetti di consolidamento di uno specifico settore industriale, per costruire delle piattaforme nelle quali inserire varie pmi che possano così crescere insieme godendo di sinergie operative e finanziarie. Il calcolo contiene poi le operazioni in club deal, le business combination con le Spac, i turnaround, gli investimenti e i disinvestimenti in impianti di produzione di energia da fonte rinnovabile e le exit verso operatori diversi dai fondi.

Quanto al private debt, le pmi hanno a loro volta lavorato parecchio con molte nuove emissioni, ma a livello di controvalore questo è crollato, perché i grandi deal sono stati molto meno. Sempre considerando i dati preliminari aggiornati alla vigilia di Natale BeBeez Private Data ha contato 148 emissioni da inizio anno per un controvalore complessivo di circa 4,9 miliardi di euro. Di questo totale 14 emissioni sono state superiori ai 100 milioni, per un totale di poco meno di 4,2 miliardi di euro, un numero importante, ma molto meno di quanto non si sia visto nel 2018, quando con 17 emissioni si erano raccolti 7,9 miliardi di euro. Nel 2018, poi, c’erano poi state tre emissioni di medie dimensioni tra 50 e 100 milioni per un totale di 196 milioni, mentre nel 2019 non ci sono state emissioni di dimensioni medie. Quanto alle emissioni dai 50 milioni in giù, quelle che si possono definire “veri minibond”, queste sono state  134 nel 2019 quindi ben di più delle 105 emissioni contate nel 2018, che avevano portato alle pmi oltre 645 milioni di euro. Nel 2019 quei 134 minibond hanno raccolto 727 milioni di euro.

A brevissimo gli abbonati a BeBeez News Premium potranno scaricare il Report Private Equity 2019 e il Report Private Debt 2019 con i dati aggiornati a fine anno (scopri qui come abbonarti a soli 20 euro al mese). In arrivo a breve anche il Report Venture Capital 2019, quello sui Crediti Deteriorati 2019 e per la prima volta anche quello sul Real Estate. Tutti disponibili in italiano e in inglese.


La Regione Siciliana si prepara a cedere gli immobili al fondo pensioni dei dipendenti regionali

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regione siciliana

regione sicilianaLa Regione Siciliana sta per cedere una partecipazione del 35% del fondo Fiprs, che detiene gli immobili della Regione, al Fondo Pensioni Sicilia, il fondo pensioni dei dipendenti regionali. Lo riferisce il quotidiano LiveSicilia. L’operazione sul Fiprs  era stata decisa dal governo regionale Crocetta e dal suo assessore all’Economia Baccei ed è stata portata avanti dall’esecutivo Musumeci, che a fine 2019 ha dato il via libera alla vendita delle quote del fondo.

Il fondo pensioni pagherà a titolo di acconto 22,75 milioni di euro. La vendita potrebbe valere di più, ma la decisione sull’ammontare del valore toccherà a una commissione trilaterale, in modo da evitare che il costo per il Fondo pensioni sia deciso soltanto dalla parte venditrice. La commissione sarà composta da: un rappresentante del Fondo pensioni, uno del dipartimento regionale alle Finanze e al credito e un rappresentante dell’assessorato all’Economia (che nelle scelte dovrebbe avere il ruolo super partes).

La cessione delle quote è stata osteggiata fin dall’inizio dalle Corte dei Conti, che aveva avvertito: “Vi è la concreta possibilità che le valutazioni siano iperboliche e inadeguate e che non tengano conto delle previsioni negative del mercato immobiliare, che comporterebbero ‘ictu oculi’ un deprezzamento dei beni incamerati”. Recentemente, la Corte ha puntato il dito contro il Fondo Prelios, fortemente indebitato verso le banche e anche contro la Regione Siciliana, segnalando che “continua ad essere negletta l’autonomia decisionale del Fondo Pensioni Sicilia, in contrasto con la sua natura di Ente previdenziale, i cui organi dovrebbero poter ponderatamente valutare in autonomia se, in che misura e con quali procedure estimative realizzare gli investimenti immobiliari previsti nelle mentovate disposizioni”. Sul piede di guerra anche i sindacati Cobas-Codir e Cisl Fp Sicilia. La questione sarà discussa al Consiglio di vigilanza del Fondo pensioni (Civ), dove sono rappresentati i sindacati.

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Invimit mette in vendita le quote del comparto Convivio del fondo i3-Dante per ridurre il debito pubblico

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L'ad di Invimit Giovanna Della Posta
L'ad di Invimit Giovanna Della Posta

L’ad di Invimit Giovanna Della Posta

Invimit (Investimenti Immobiliari sgr spa), la società partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha messo in vendita le quote del comparto Convivio del fondo di investimento alternativo immobiliare multicomparto riservato di tipo chiuso i3-Dante. Lo ha annunciato la società stessa in una nota (si veda qui il comunicato stampa).

Le quote del comparto potranno essere acquistate dagli investitori professionali, inclusi i clienti professionali privati, i clienti professionali pubblici, nonché coloro che su richiesta possono essere trattati come clienti professionali. Gli interessati potranno richiedere maggiori informazioni a Invimit per presentare una manifestazione di interesse non vincolante.

Invimit aveva lanciato il comparto Convivio del fondo i3-Dante nel settembre 2019 (si veda altro articolo di BeBeez). Il comparto è nato con l’obiettivo di contribuire alla riduzione del debito pubblico italiano attraverso il trasferimento e la valorizzazione di portafogli di asset pre-identificati dalla sgr all’interno dei patrimoni già in gestione e l’individuazione di soggetti terzi interessati all’investimento nelle quote del fondo stesso.

Invimit aveva annunciato nell’aprile 2019 che avrebbe dismesso gli immobili pubblici attraverso due fondi: uno core, nel quale sarebbero confluiti gli immobili già locati a terzi condizioni di mercato, e un altro core plus, in cui ci sarebbero stati concentrti gli immobili locati a condizioni inferiori a quelle di mercato (si veda altro articolo di BeBeez). Nel dettaglio, Invimit è stata incaricata di gestire gli immobili dello Stato conferiti ai suoi fondi, per un importo di 1,6 miliardi di euro, nell’ambito del processo di cessione degli immobili pubblici per un valore stimato complessivo di circa 1,2 miliardi di euro previsto dalla Legge di Bilancio 2019 e il cui perimetro è stato definito lo scorso luglio Decreto attuativo del Ministero dell’Economia (si veda altro articolo di BeBeez). L’obiettivo del MEF è conseguire introiti per 950 milioni di euro nel 2019 e per 150 milioni di euro nel 2020 e nel 2021.

Nell’ambito dell’operazione, Invimit nel novembre 2019 ha messo in vendita 144 unità immobiliari e 13 asset cielo-terra, con un valore di partenza di 93 milioni di euro. Gli immobili sono situati in 15 città italiane, tra cui Roma, Milano, Sabaudia, Firenze, Pisa, Bologna,Trieste, Tarvisio, Perugia, Como, Padova, Terni, Vercelli, Lecce, Livorno (si veda altro articolo di BeBeez). Inoltre Invimit ha messo in vendita immobili pubblici del suo portafoglio di fondi per un importo stimato complessivamente in 610 milioni di euro, di cui 500 milioni attraverso la cessione di quote dei fondi e 110 milioni attraverso la vendita diretta di immobili con un’innovativa procedura di asta. Il 20 settembre 2019 è scaduto il termine di presentazione delle offerte per la prima tranche degli immobili in vendita (si veda altro articolo di BeBeez): circa 200 tra abitazioni, negozi e uffici in 8 città italiane (Roma, Firenze, Palermo, Bologna, Pisa, Firenze, Trieste e Sabaudia).

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DeA Capital Real Estate lancia il nuovo Fondo Drive. Che compra un immobile a Roma e uno a Milano per 80 mln di euro

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L’immobile di via San Vigilio 1 a Milano

DeA Capital Real Estate sgr spa nel dicembre 2019 ha lanciato il suo nuovo Fondo Drive, un veicolo di investimento alternativo immobiliare di tipo chiuso, riservato ad investitori internazionali. Si tratta del 52mo fondo lanciato dalla sgr. Il 23 dicembre scorso il fondo ha rilevato due immobili per un prezzo complessivo superiore a 80 milioni di euro: uno a Roma in via Paolo di Dono per oltre 55 milioni di euro; uno a Milano in via San Vigilio 1, al prezzo di 24,6 milioni di euro (si veda qui il comunicato stampa). Quest’ultimo è stato ceduto da Aedes siiq spa, che aveva firmato il contratto preliminare di vendita dell’edificio nell’agosto 2019 (si veda altro articolo di BeBeez) e che ha siglato il contratto definitivo il 23 dicembre scorso, incassando contestualmente l’ultima tranche di prezzo pari a circa 9,6 milioni di euro, con pari effetto positivo in termini di posizione finanziaria netta (si veda qui il comunicato stampa).

L’immobile romano venduto a DeA Capital Real Estate è situato nei pressi di via Baldovinetti e viale del Tintoretto, nel quadrante sud della Capitale, tra via Laurentina e l’Eur. L’immobile cielo-terra è costituto da quattro fabbricati disposti a forma di due L, con due di essi costituiti da nove piani fuori terra e due interrati. Il complesso è a destinazione d’uso direzionale e ha tra i suoi conduttori la sede italiana di Unilever Italy Holdings.

Il secondo immobile ceduto è situato nel quadrante sud di Milano. Si tratta di un edificio progettato da Gio Ponti nel 1971, noto in città come Palazzo Savoia Assicurazioni e Riassicurazioni. Il complesso immobiliare è composto da due edifici che si sviluppano l’uno su nove piani fuori terra ed un piano interrato, l’altro su due piani fuori terra. Entrambi i fabbricati presentano unità ad uso terziario. L’edificio ha una GLA di circa 10 mila mq ed è situato a pochi metri dalla fermata Famagosta della M2, dove sorge anche un grande parcheggio di interscambio, che si aggiunge ai 69 posti auto di cui è dotato l’edificio. L’immobile attualmente è in fase di locazione e riqualificazione, che prevede il rifacimento delle facciate esterne e delle parti comuni (ingresso, reception, impianti elevatori), l’aggiunta di un piano supplementare aggiuntivo in cima all’edificio, un’area verde attrezzata di 6.000 mq all’interno, sale riunioni e zone di svago al piano seminterrato. Dovrebbe essere pronto entro il primo trimestre del 2020.

Dea Capital Real Estate sgr sempre nel dicembre 2019 ha acquisito la Galleria Passarella a Milano a un prezzo superiore ai 280 milioni di euro (si veda altro articolo di BeBeez). Si tratta di una delle più importanti acquisizioni dell’anno nel mercato immobiliare europeo e della maggiore acquisizione in Italia del 2019, seguita solo dall’acquisto per 193,6 milioni di euro del complesso di via Pirelli 39 Milano, meglio noto come Pirellino, da parte di Coima sgr, avvenuto nell’aprile 2019 (si veda altro articolo di BeBeez).

Sempre nel dicembre scorso, DeA Capital ha venduto un immobile a uso uffici in piazza Firenze a Milano al gestore immobiliare tedesco GLL Real Estate Partners (si veda altro articolo di BeBeez) e un immobile in via Cristoforo Colombo 142 Roma per 40,7 milioni di euro (si veda altro articolo di BeBeez). La sgr inoltre ha ceduto nel novembre 2019 ad Alpina Costruzioni spa un immobile in via Govone a Milano, ex sede della Fondazione Enasarco (si veda altro articolo di BeBeez) e nel luglio scorso il Palazzo dell’Informazione di Milano per 175 milioni di euro (si veda altro articolo di BeBeez). Tra le altre operazioni del 2019 di DeA Capital Real Estate sgr, ricordiamo anche: la cessione di un immobile in Piazza Meda 1, nel pieno centro di Milano (si veda altro articolo di BeBeez); l’acquisto di un’un’area da oltre 70 mila mq a Basiglio (Milano) per 150 milioni di euro e di un edificio uso uffici situato  in Francia a Charenton-Le-Pont per conto di un fondo di investimento britannico (si veda altro articolo di BeBeez); la vendita di due immobili direzionali a Roma per 53 milioni di euro nel febbraio scorso (si veda altro articolo di BeBeez); la cessione del complesso immobiliare in Via Durando 18 a Milano nel gennaio scorso (si veda altro articolo di BeBeez).

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