Mentre il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 ) entrerà in vigore completamente il prossimo 15 agosto 2020, chi sta gestendo procedure concorsuali si preoccupa di capire come essere in regola con le nuove norme per non avere sorprese non gradite.
Un tema caldo è certamente quello della gestione dei debiti fiscali. L’impresa in crisi, che quindi non è in grado di adempiere con regolarità le proprie obbligazioni tributarie, può ottenerne la cosiddetta “falcidia” e/o la dilazione di pagamento nel medio lungo termine, facendo ricorso, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti, all’istituto della transazione fiscale. L’istituto del “Trattamento dei crediti tributari e contributivi” previsto dall’art. 182-ter Legge Fallimentare si applica nel contesto di una procedura di concordato preventivo (art. 160, L.F.) o di un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis, L.F.). La transazione rappresenta dunque una deroga al principio di indisponibilità e irrinunciabilità del credito tributario da parte dell’amministrazione finanziaria, che mira alla conservazione dell’impresa qualora vi siano concrete possibilità di risanamento.
Il nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza sostituisce l’articolo 182-ter L.F e lo spacchetta in due nuovi articoli (artt. 63 e 88, D.Lgs. 14/2019), aventi per oggetto l’attuazione dell’istituto della transazione fiscale rispettivamente nell’ambito di un accordo di ristrutturazione e del concordato preventivo. Pur ricalcando la norma ancora attualmente vigente, le due nuove disposizioni propongono alcune soluzioni che dovrebbero superare alcune criticità applicative dell’istituto così come sino a oggi concepito, in particolare la tipica ritrosia dell’amministrazione finanziaria nell’apprezzare la convenienza dell’accordo proposto; e i tempi, solitamente molto lunghi con i quali questa valutazione viene condotta. In particolare va sottolineato che è stata prevista la possibilità di omologazione della transazione fiscale da parte del tribunale, nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, anche in assenza di adesione da parte del Fisco alla proposta formulatagli dall’impresa debitrice (art. 48, comma 5). Più nel dettaglio, l’omologa da parte del tribunale potrà avvenire non solo in caso di mancata adesione alla proposta da parte del Fisco entro 60 giorni dal deposito della proposta di transazione, ma anche in caso di rigetto della stessa, se vi è il raggiungimento delle percentuali del 60% dei crediti (Art. 57 comma 1) e del 30% qualora non venga proposta la moratoria (dilazione) dei creditori estranei agli accordi e non si siano chieste misure protettive temporanee (Art. 60 comma1).
Sul tema della nuova transazione fiscale l’Ordine dei Commercialisti di Milano ha pubblicato lo scorso giugno un corposo Quaderno interamente dedicato al nuovo trattamento dei debiti tributari e contributivi. Ma va ricordato che lo scorso settembre l’Agenzia delle Entrate è a sua volta intervenuta sul tema, con delle precisazioni che modificano la posizione presa poco più di un anno prima con la circolare del 23 luglio 2018. Come spiegato nel dettaglio da Giulio Andreani, partner del dipartimento Tax di Dentons, in un suo approfondimento ad hoc, le precisazioni che destano maggiore interesse, ai fini della predisposizione della proposta di trattamento dei crediti tributari, riguardano (i) la natura “endogena” oppure “esogena” dei flussi generati dalla prosecuzione dell’attività d’impresa nell’ambito del concordato preventivo in continuità, (ii) i criteri di distribuzione ai creditori del patrimonio del debitore, (iii) la possibilità di derogare al principio del divieto del trattamento deteriore dei crediti fiscali con riguardo ai cosiddetti “creditori strategici”, (iv) la certificazione dei crediti tributari, (v) i criteri di valutazione della proposta di transazione fiscale da parte del Fisco, (vi) il coordinamento della transazione fiscale con gli istituti deflativi del contenzioso, (vii) la possibilità di dilazionare il pagamento dei debiti fiscali oltre l’arco temporale oggetto del piano di risanamento, (viii) il comportamento dell’Amministrazione finanziaria in caso di moratoria ultrannuale nel concordato preventivo in continuità, (ix) gli effetti della rinegoziazione della transazione fiscale nell’ambito degli accordi di ristrutturazione, (x) i criteri da utilizzare per l’individuazione dell’Ufficio competente.
Intanto negli ultimi mesi si sono succeduti gli interpelli all’Agenzia delle Entrate per chiarire aspetti fiscali dubbi nell’ambito di procedure. Ne ha parlato ampiamente Roberto Egori, tax partner di Linklaters, in occasione del suo intervento al seminario “Utp: gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il nuovo codice della crisi”, organizzato a Milano da Iside a fine novembre (scarica qui le slide dell’intervento).
Tra le pronunce importanti ne segnaliamo qui alcune. Per esempio, in una risposta a un interpello dell’31 ottobre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che alle plusvalenze e alle minusvalenze derivanti dalla cessione dei beni immobili non strategici all’esercizio dell’attività d’impresa nell’ambito di un concordato preventivo in continuità aziendale, siano applicabili le regole generali di determinazione del reddito d’impresa, con la conseguenza che quelle plusvalenze e minusvalenze concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza.
L’interpello era stato presentato da una società che aveva presentato una domanda di concordato preventivo ai sensi dell’art. 160 Legge Fallimentare in continuità d’impresa e che aveva ottenuto l’omologa del Tribunale. La società chiedeva se avrebbe potuto applicare la disposizione prevista dall’art. 86, comma 5, TUIR secondo cui: “La cessione dei beni ai creditori in sede di concordato preventivo non costituisce realizzo delle plusvalenze e minusvalenze dei beni, comprese quelle relative alle rimanenze e il valore dell’avviamento”. Una norma che è stata pensata però solo in relazione a un’ipotesi in cui 2dopo il concordato non ci sia più esercizio di impresa2 (si vedano la Risoluzione n. 29/E del 1° marzo 2004 e la nota illustrativa al TUIR, aggiornato e coordinato con le disposizioni del DPR n. 42/1988).
Peraltro, questo approccio trova ulteriore conferma nell’evoluzione normativa dell’art. 88, TUIR: è stato infatti introdotto il comma 4-ter, con il quale si dispone una differente misura della detassazione delle sopravvenienze attive, conseguenti dalle riduzioni dei debiti dell’impresa, a seconda che si tratti di concordato preventivo liquidatorio o concordato di risanamento.
In particolare, in base all’art. 88 comma 4-ter, in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti omologato, la riduzione dei debiti dell’impresa non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede le perdite, pregresse e di periodo, senza considerare il limite dell’80%, la deduzione di periodo e l’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica e gli interessi passivi e gli oneri finanziari assimilati.
A questo proposito, in una risposta a un altro interpello dell’11 ottobre 2019, l’Agenzia delle Entrate ha reso chiarimenti in tema di estensione dell’efficacia di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato e scaduto. L’Agenzia ha precisato che l’art. 88 comma 4-ter si può applicare anche in quel caso. Se cioè un accordo di ristrutturazione originariamente omologato è scaduto, ma è stato poi stipulato un accordo di estensione della sua efficacia (proroga registrata, ma non nuovamente omologata) e se, a seguito della cessione di un immobile come previsto dall’accordo originario, si verifica una riduzione dei debiti, allora quella riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva per la misura prevista dall’art. 88 comma 4-ter. Questo sulla base del presupposto che, una simile situazione, ripropone nella sostanza i medesimi effetti in termini di esdebitamento dei creditori, seppure in un periodo successivo a quello al termine di efficacia dell’originario accordo di ristrutturazione.