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Italy, Private collection. All. Still life epergne; fruit stand with oranges over a white napkin light-colored background thick brush strokes oranges study light color.
Ghiglia. Classico e moderno. Al Centro Matteucci a Viareggio la mostra a cura di Elisabetta Matteucci
L’appuntamento estivo del Centro Matteucci per l’Arte Moderna a Viareggio è, quest’anno, riservato ad Oscar Ghiglia con la mostra dal titolo “Ghiglia. Classico e moderno”, curata da Elisabetta Matteucci – dal 7 luglio al 4 novembre – il più italiano e insieme il più europeo degli artisti italiani d’inizio Novecento, cultore dell’antico, figlio spirituale di Fattori e insieme aperto alle tendenze cosmopolite, legato ad un sodalizio inesplorato con Amedeo Modigliani. La personale, accanto ai capolavori più noti di colui che, in modo del tutto personale, ha saputo aggiornare la lezione di Fattori, propone, per la prima volta, una ventina di opere fondamentali, che sino ad ora, non erano mai uscite dai salotti di collezionisti. Un artista che ha saputo unire la tecnica e la lezione dei classici con l’invenzione e la singolarità nell’uso del colore. I suoi accostamenti cromatici sono ottenuti dall’uso di una lampada elettrica durante la lavorazione delle opere, in controtendenza con l’inclinazione del momento che privilegiava l’en plein air. Pittore che si dedicò al ritratto, protagonista indiscussa la moglie quasi sempre colta di spalle, e alla natura morta, con le trasparenze dei vetri, i fiori e gli strumenti musicali che rivelano la sua seconda passione. Dipinse quasi sempre quello che amava perché fu un solitario, poco legato alla mondanità delle manifestazioni e delle mostre, con un vantaggio per la sua arte ma uno svantaggio per la notorietà. Il percorso della mostra illustra la singolare vicinanza con Amedeo Modigliani, intreccio di amicizia e sodalizio artistico, mai realmente considerato finora.
Come ebbe a dire il noto pittore, nel 1906, “in Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia, c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta.” La nota affermazione di Modigliani, riferita da Anselmo Bucci nei Ricordi parigini (1931), contrasta con il silenzio venutosi a creare attorno a Ghiglia dopo la morte. Condizione riservata, come osservava Carlo Ludovico Ragghianti nel 1967 in occasione della mostra “Arte Moderna in Italia 1915-1935”, a quell’intera generazione di artisti penalizzata dal giudizio negativo sul fascismo.
Accompagnati da Giuliano Matteucci, Coordinatore editoriale del Centro, siamo stati guidati attraverso un viaggio lungo la vita da romanzo di Oscar Ghiglia, nato a Livorno nel 1876 e trasferitosi poi a Firenze che nel primo Novecento era una fucina pirotecnica, non senza accenti iconoclastici come quelli del secondo futurismo. La prima parte dell’attività di Ghiglia si concentrò sulla copia dell’antico e dei pittori Labronici, Giovanni Fattori in testa del quale non fu mai diretto allievo, a differenza di Modì, ma che avvertiva come suo padre spirituale; ma anche di Ugo Manaresi dal quale mutuò i cromatismi. Non ebbe una formazione culturale completa perché, iniziata la scuola di nudo a Firenze con Modigliani, la interruppe, anche per ragioni di indigenza. Si era sposato ed ebbe cinque figli – tra i quali il pittore Valentino – quindi rincorse sempre la sopravvivenza, pur ricevendo molta protezione dall’ambiente ebreo e dallo stesso Ugo Ojetti presso il quale dimorò un periodo e del quale in mostra c’è il ritratto.
La sua vita trascorse in disparte a parte nell’avvio della carriera con la partecipazione alle Biennali di Venezia del 1901 e del 1903 e a due mostre a Firenze, rispettivamente quella a Palazzo Corsini del 1904 e quella del 1906, la Promotrice. Fu poi in disparte scegliendo di dipingere solo quello che amava e dedicandosi ad una ricerca personale che si nutrì anche degli influssi della Secessione, oltre che delle “sirene incantatrici” dei Nabis e di Cézanne, il pittore di Aix-en-Provence, moderno tra i moderni. La sua scelta di solitudine lo ha certamente penalizzato dopo la sua morte ed è solo con gli studi di Raffaele Monti e Renato Barilli della metà degli anni Settanta, confluiti in una serie di mostre monografiche rivelatrici di un grande talento, che il livornese comincia a essere preso in considerazione, rappresentando un caso che incarna, in termini esemplari, la cultura figurativa dei primi decenni del Novecento. Una pittura, la sua, priva di contaminazioni anche per il tratto umbratile e scontroso del personaggio, non molto aperto alle relazioni, spesso in contrasto anche con amici vicini, come Giovanni Papini dal quale fu influenzato, così come dalle riviste del periodo. In mostra il quadro “La voce”, natura morta nella quale, curiosamente, non si legge chiaramente l’intestazione del giornale con il quale collaborava. Di Papini, dopo la condivisione delle idee attraverso la collaborazione con Spadini, Borgese e Prezzolini al Leonardo, mal digerì la svolta futurista, della frattura con il secondo sfuggono le ragioni. A testimonianza del sodalizio con Modigliani, invece, che per i riflessi sull’opera appare tra i più fertili e intensi dell’arte moderna, restano le famose cinque lettere inviate, nel 1901, durante il soggiorno a Venezia e Capri, da Modigliani a Ghiglia; il tono è di un giovane che, aprendosi al mondo, intravede nell’artista più maturo il proprio alter ego. L’esposizione, ricca e ben dosata nell’allestimento, con oltre 40 opere, è articolata in 7 sessioni che seguono il viatico iconografico del pittore, attraverso i suoi domicili che cambiava spesso non potendo pagare un affitto. Le prime tre sessioni sono legate agli indirizzi fiorentini, rispettivamente Via Mameli, Via Boccaccio e Via degli Artisti; quindi Castiglioncello con il fascino primigenio della natura, dove vive dal 1915 al 1918. Segue la sessione dedicata al rapporto con Cézanne, a Firenze attraverso Maurice Denis, infine il rapporto con Modigliani, per la prima volta, come accennato, messo in evidenza, grazie all’autoritratto di Ghiglia da leggere come una professione di fede mai venuta meno e le due teste di Modigliani – Tête de femme rousse e L’enfant gras – frutto rispettivamente di un prestito della GAM di Torino e della Pinacoteca di Brera a Milano, tra l’altro interessante conferma dell’importanza dello scambio tra i musei. Tra i due personaggi probabilmente ci fu una sorta di osmosi tuttora in gran parte da valutare. Il percorso della mostra inizia con il ritratto della moglie Isa Morandini, sua grande musa ispiratrice, colta quasi sempre di spalle, privilegiando il gioco dei riflessi nello specchio. In quest’opera si legge indubbiamente l’influsso di Fattori come anche del primo Picasso e dell’austerità nordica della pittura di Monaco del periodo. L’opera ha richiesto oltre un anno di lavoro con un travaglio simile alla tela di Penelope; alla fine però, racconta la moglie, la gente di Firenze faceva la fila per vederla. L’uso sobrio del colore, le inquadrature insolite sono anche né “La coltre”, opera per la nascita del primo figlio o nell’opera “Il riposo”.
Tra i ritratti quello di un altro artista, Llewelyn Lloyd che definì l’arte dell’amico originalissima non somigliante a nessun’altra, che non ha punti di riferimento né coi macchiaioli toscani né con l’impressionismo francese… Certamente da non trascurare l’”Autoritratto” del 1901, che segna il suo debutto artistico, a Venezia, dove è forte l’influenza rinascimentale come anche quella di Fattori nella divisione del fondo in due campiture, guardando il quale il Maestro dei Macchiaioli dei sentì molto orgoglioso. Da rilevare, oltre il già citato ritratto di Ugo Ojetti quello di Giuseppe Vannicola, primo violinista della Scala, che suonò con Toscanini; traduttore, scrittore, giornalista, poeta, editore e promotore culturale italiano. Al piano superiore dell’esposizione, nella villetta liberty, dominano le nature morte, in particolare “La stampa giapponese”. Il catalogo è a cura di Claudia Fulgheri, con contributi di Tommaso Casini, Vincenzo Farinella e Leonardo Ghiglia.
Grazie a Giada Luni
“Ghiglia. Classico e moderno”
Centro Matteucci per l’Arte Moderna via Gabriele D’Annunzio, 28
Viareggio, Lucca
7 luglio-4 novembre 2018
Info: www.cemamo.it tel. 0584 430614.
Orari: dal 7 luglio al 9 settembre: mar / ven 17.30 22.30 ; sab / dom 10.00 – 13.00; 17.30 – 22.30; dal 11 settembre al 4 novembre: gio / ven 15.30 – 19.30 ; sab / dom 10.00 – 13.00; 15.30 – 19.30, martedì e mercoledì : gruppi; lunedì chiuso.