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Nadia Righi
BeBeez ha avuto l’occasione di partecipare ad una visita in diretta interattiva della mostra Gauguin, Matisse, Chagall – La Passione nell’arte francese dai Musei Vaticani, allestita al Museo Diocesano di Milano dal 21 febbraio scorso fino al 17 maggio prossimo che probabilmente sarà prorogata fino all’autunno per consentire ai visitatori di poterla vedere dal vivo. Guida d’eccezione il Direttore, Nadia Righi, che ci ha raccontato come l’iniziativa sia nata “per tener compagnia al pubblico lasciato fuori dal Museo per il confinamento, con la voglia di non offrire un video da guardare ma uno spazio digitale dove partecipare. La proposta è stata gratuita e in poche settimane c’è stata un’impennata di richieste per la visita della mostra in corso e approfondimenti di alcune sale.”
Un modo diverso di fare marketing, che sta dando buoni frutti? “La prima preoccupazione è stata di mantenere un dialogo con il pubblico pensando che però non sarebbe stata un’attività remunerativa, mentre successivamente, proprio dietro un suggerimento del pubblico, sono nate singole iniziative a pagamento alle quali ci si può iscrivere sul sito del museo – su chiostridisanteustorgio.it – che sostengono il museo e in particolare le nostre guide che sono liberi professionisti. Tra le varie possibilità ad esempio l’approfondimento della collezione di fondi oro del Museo.”
Noi abbiamo seguito la mostra temporanea che nasce idealmente dalla Lettera agli artisti scritta nel 1965 da Paolo VI e consegnata a Jean Guitton dopo la quale il rapporto tra il Papa e gli artisti francesi sarà costante e sanerà un’incomprensione ammessa dal Pontefice. Nelle collezioni d’arte contemporanea dei Musei Vaticani arrivano così molte donazioni di artisti. Al centro, ha sottolineato Nadia Righi, il tema del cambiamento dell’arte sacra tra Otto e Novecento e la modalità i affrontare il sacro da parte di artisti non cristiani che si sono cimentati ad esempio sul tema del Crocifisso.
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Matisse, La Sainte Vierge 2.jpg
La mostra inizia con due litografie di Henri Matisse, realizzate tra il 1948 e il 1952, quando l’artista ormai anziano, affetto da infermità permanente, è assistito da un’infermiera, Monique, con la quale intreccerà una bella amicizia. Questa donna maturerà la vocazione di farsi suora e sarà reticente all’inizio nel parlarne al Maestro, divenendo però fonte di ispirazione per la raffigurazione de La Vierge. Matisse, certamente non religioso, lavorerà però sul sacro nell’ultima parte della sua vita, sa deuxième vie, come egli stesso dirà, realizzando la Cappella di Saint-Paul-de-Vence dalle vetrate, al Crocifisso, ai candelabri. Le due immagini della Vergine ci mostrano una ricerca rivolta all’essenziale, come ha fatto notare la Righi, asciugando la forma, senza approdare all’astrattismo. La tendenza è a rendere l’immagine universale come anche nel Cristo patients della Cappella.
Incontriamo poi il giapponese Fujita, che arriva a Parigi nel primo decennio del Novecento portando con sé la tradizione della pittura del suo paese e restando affascinato dal Louvre e dalle opere su fondo oro. Non cristiano, appartenente al ‘mondo fluttuante’ del famoso Hokusai tra gli altri, riceverà poi il Battesimo molti anni dopo. Incontriamo così Maurice Denis e una serie di xilografie dedicata a L’annonce faite à Marie di Paul Claudel, autore del dramma di successo ambientato nel Medioevo. Del 1920 è Cordoglio di Auguste Chabaud sul tema della morte e della devozione popolare con linee di colore decise e campiture nette, il cosiddetto cloisonnisme, opera di grande suggestione. Tra i protagonisti dell’esposizione Vincent Van Gogh che voleva fare il predicatore e che nell’opera in mostra si ispira ad una stampa di Delacroix; mentre Paul Gauguin nell’opera in mostra Pardon, rievoca la processione bretone, avvicinandosi al simbolismo, oltre l’impressione. Critico verso la Chiesa, trova nella devozione popolare una purezza evangelica come in Calvaire – che fa riferimento ai calvari della Bretagna – e al Cristo giallo, colore che indica il dolore come la luce. A proposito di quest’opera la Righi fa notare la scritta “Matteo, V-VIII” che rimanda al Discorso della Montagna le cui beatitudini possono essere trascritte nelle regole del vivere civile.
Legato al movimento dei Fauves, l’espressionismo francese, Georges Rouault, allievo di Gustave Moreau, esprime una crescente tensione spirituale fino al 1910 quando l’incontro con il mondo cattolico francese, ad esempio il filosofo Jacques Maritain, gli aprirà un mondo, dopo aver dipinto soprattutto gli emarginati rappresentati da Pierrot, clown o prostitute. Allora realizzerà una serie di incisioni, Miserere, tema del Salmo cinquanta nel quale Davide chiede perdono. L’incisione è scelta come tecnica, ha fatto notare la Righi, per il costo relativamente contenuto, dedicata quindi alle classi più semplici. Il risultato è un’antologia di 100 incisioni che offrono un’ampia panoramica anche dal punto di vista tecnico. D’ora in poi questo artista si dedicherà esclusivamente all’arte sacra.
Nell’Ecce homo del 1952 il Cristo è un uomo che porta i segni della sofferenza dell’umanità e questa figura è oltre il tempo e lo spazio, passione e resurrezione insieme.
Marc Chagall, che muore nel 1988 a Saint-Paul-de-Vence, è un ebreo osservante che in linea di principio non avrebbe potuto raffigurare il divino; pertanto la sua attenzione all’arte sacra è particolarmente interessante, come si nota ne Il Cristo e il pittore che evidenzia come il pittore colora la tela grigia dopo la visione e quindi l’illuminazione. La figura del cristo è quella del perfetto martire ebreo e la scala è il simbolo della sofferenza e degli ostacoli che l’uomo deve superare ma è anche un rimando alla scala di Giacobbe che sancisce l’alleanza tra cielo e terra. Il Cristo è giallo di dolore e di luce mentre il pittore è azzurro, colore simbolo della spiritualità.
E’ del 1956 La pitié rouge il cui rosso allude anche al fuoco degli incendi dei villaggi russi durante i pogrom che ha vissuto direttamente.
Lungo il nostro cammino incontriamo Bernard Buffet, nato nel 1928, che nel 1954 realizza scene drammatiche del doloro del Cristo che diventa l’uomo vittima dell’Olocausto con l’attualizzazione del martirio decifrabile attraverso i simboli dell’iconografia cristiana come i chiodi, immersi in una scenografia contemporanea con i binari del treno che vanno all’infinito.
Jean Fautrier, il Pollock europeo, come ha ricordato la Righi, è in mostra con un’opera che ritrae il Cristo alla stregua di una grande maschera africana, singolare essendo un artista che di solito non si occupa di sacro. Il Direttore ha sottolineato come nel corso del tempo le opere sacre sono raffigurazioni sempre più brutte, secondo il senso comune dell’estetica, legate al dolore.
Così ne Les otages, gli ostaggi che raffigurano le teste dei deportati nei campi di concentramento.
Tra le ultime opere, il lavoro di George Desvallières che opera con Maurice Denis, e fonda gli Atelier de l’Art Sacré, tra il 1919-1947, una scuola che mira a favorire l’incontro dell’arte sacra con le avanguardie, evidenziando come “ormai non sia più necessario essere cristiani per essere artisti del sacro”, ha sottolineato il Direttore Righi. Tra l’altro nello stesso anno nasce in Germania il Bauhaus e questo testimonia come l’arte moderna vede convivere manifestazioni e direzioni molto diverse tra di loro. La Sainte Véronique, Via Crucis, VI stazione, siamo nel simbolismo, nel sogno. Conclude il percorso La main de Dieu di Auguste Rodin, ammiratore di Michelangelo che in quest’opera ci riporta alla creazione, all’origine.
![Rodin, La Main de Dieu]()
Rodin, La Main de Dieu
“La scelta di collocare l’opera alla fine – ha spiegato Nadia Righi – pur facendola intravedere fin dall’inizio anche senza che il visitatore possa distinguerla chiude idealmente il cerchio perché l’ultima parola è quella della resurrezione, non della Passione e della Croce, che trasfigura tutta la storia fin dalla creazione e dà un senso nuovo all’uomo.”
![Chagall, Le Christ et le peintre]()
Chagall, Le Christ et le peintre
In conclusione il Direttore del Museo ha sottolineato come si da rivedere l’affermazione che nel Novecento l’arte sacra viene dimenticata, anzi diventa il terreno privilegiato di sperimentazione, un ambito nel quale non ci sono filtri e che pertanto diventa molto stimolante per gli artisti.
a cura di Ilaria Guidantoni