![Palazzo Concini]()
![Faramarz Poosty]()
Faramarz Poosty
Abbiamo scoperto un luogo di incontro, cocktail bar e ristorante, presto spazio di esposizioni d’arte dove il contemporaneo, lo stile di vita più di tendenza sposa la storia e la tradizione: il Locale, nel cuore di Firenze, in un palazzo legato a Cosimo I, Palazzo Concini, il Consigliere di Caterina dei Medici, odiato in Francia per la sua spietatezza. I Medici in qualche modo in questa città sono sempre protagonisti come in questo caso dove la proprietà ha cercato di interpretare i suggerimenti delle mura e le stratificazioni del gusto in cucina come negli arredi e nella domanda che il cliente che entra in questo spazio pone.
L’incontro è stato occasione di una passeggiata esclusiva per BeBeez anche al piano inferiore dove ci sono vestigia che risalgono fino all’epoca romana, accompagnati eccezionalmente dal Direttore, Faramarz Poosty, un persiano, fiorentino d’adozione (che dirige anche un ristorante di pesce esclusivo di là d’Arno, il Cestello RistoClub nell’omonima piazza), trasferitosi a Firenze dopo la Rivoluzione.
Dal General Manager ci siamo fatti raccontare com’è nata l’idea.
“E’ stato un lungo progetto, dopo che la proprietà ha tenuto vuoto per un anno questo fondo che era ai tempi una segheria, quando mi ha contattato perché già lavoravo in un locale di loro proprietà. E’ stato un azzardo, un’iniziativa certamente ambiziosa che è costata un anno e mezzo di lavori, un tempo ragionevole per l’imponenza della trasformazione e l’impegno legato anche alla presenza della Sovrintendenza per le Belle Arti.”
Qual è stata l’idea?
“Di seguire il luogo, pieno di sorprese, basti pensare che al primo piano dove ci sono i laboratori, il personale di cucina lavora in una stanza padronale affrescata; così abbiamo aperto una storia, cominciando dal portone ottocentesco che abbiamo utilizzato all’interno per impreziosire una parete. La scelta è stata quella di porsi dalla parte del cliente chiedendoci cosa cercasse, quale suggestione provasse entrando qui dentro e la risposta è stata l’incontro di un sentire molto contemporaneo ben saldo sulla tradizione, con elementi di modernità nell’arrendo, un tetto di vetro apribile d’estate in quella che era la corte come si vede dal lastricato dell’antica strada che passava di qui e che abbiamo scelto di lasciare. Anche nell’offerta c’è molta ricerca con il cocktail bar anche nella presentazione e nella comunicazione, l’ingresso della fisica nelle preparazioni ma senza chimica, con laboratori per distillazione e preparazioni tradizionali, sotto la guida di Matteo di Ienno, Bar Manager”, in una città alchemica di grandi tradizioni, di officine e speziali.
Sul fronte della cucina qual è l’impronta? “Con lo Chef, Gianluca Renzi e il Sommelier Stefano Rizzi abbiamo smussato e aggiustato il tiro nel tempo per approdare ad una cucina toscana rivisitata, legata però al tema ambiente e salute che oggi sono componenti imprescindibili del consumo che fanno parte di un’offerta raffinata, legata alla ricerca più che al lusso”, anche se nel Locale di elementi preziosi ce ne sono molti e li scopriremo nella nostra passeggiata.
“E’ la prima volta, ha continuato Faramarz, in 25 anni di attività che mi trovo obbligato a declinare la mia attività seguendo quello che mi dice il luogo e quindi la cucina classica toscana legata alla prima suggestione dell’ambiente mediceo non è stata soddisfacente. La clientela voleva andare oltre, senza dimenticare l’origine ed è molto apprezzato lo stile di consumo sostenibile come accennato per cui la buccia del cocomero, per fare un esempio, viene utilizzata per le decorazioni. L’obiettivo è spreco zero introducendo le erbe spontanee nei piatti e facendo accordi con coltivatori locali per andare incontro all’idea del chilometro zero.”
Come viene vissuto questo locale? “Come una casa, perché si respira quest’atmosfera, anche con l’opportunità di poter viaggiare nel tempo con un’esperienza immersiva per cui si cerca il contrasto, la sorpresa dell’antico che trova il moderno. Nell’apparecchiatura ad esempio il concept attuale è servito con la Porcellana Richard Ginori; nei laboratori la tecnologica serve a migliorare e accelerare i processi per i drink ma l’estrazione è naturale e vengono utilizzate materie prime di base, non già prodotti confezionati però con un tocco di ricerca. La Drink list ad esempio è ispirata all’artista Bruno Munari per cui ogni cocktail è illustrato da un gesto, un’espressione del viso e delle mani, che è assolutamente inusuale.”
Quali sono i nuovi orizzonti verso i quali vi muovete?
“A breve ci saranno importanti novità e progetti legati all’arte contemporanea insieme alla Galleria Poggiali, in collaborazione con Mariam Mazaheri e anche in questo caso, al di là dell’evento mondano dell’inaugurazione della mostra, cercheremo nel tempo di creare una piccola collezione permanente con una scelta di artisti che possano lavorare nel segno della modernità molto spinta in dialogo con il luogo storico, in un contraddittorio vivace”.
Il Palazzo ha una storia antichissima che parte dal Duecento, situato nell’antico quartiere nobile della città, quando la prima famiglia proprietaria era quella dei Bastari Rittafé. Nel Cinquecento poi il Palazzo subì un ampliamento importante e divenne la residenza del Giureconsulto e Plenipotenziario di Cosimo I de’ Medici, Bartolomeo Concini, il diplomatico più influente dell’epoca, il cui operato fu fondamentale per il conferimento per nomina pontificia del titolo di Granduca a Cosimo I. La famiglia Concini fu fondamentale nella vita politica di allora tanto che arrivò ad imparentarsi con gli stessi Signori di Firenze.
Il piano terra racconta la vita cinquecentesca quando l’ingresso attuale era un ampio cortile dove entravano le carrozze e i carri a costeggiare il loggiato sontuoso, coperto, antistante l’entrata principale. Adiacenti ai locali di rappresentanza le sale destinate allo stoccaggio delle merci soprattutto provenienti dalle fattorie dei Concini com’era d’uso nella nobiltà fiorentina dell’epoca.
Qualche curiosità?
“Al piano terra spicca una preziosa stufa in terracotta policroma del Settecento, realizzata all’epoca di Francesco Giuseppe de’ Medici, possessore del Palazzo dal 1732. L’amorino affrescato sul soffitto ha nelle mani un carciofo e una coppa di vino e ricorda il mito di Cynara, la bella ninfa dai capelli color cenere e gli occhi verdi dai riflessi viola, di cui si era invaghito Zeus e dalla quale fu respinto, tramutandola così in carciofo, brutto fuori ma buono dentro, al contrario della fanciulla, verde con i riflessi viola.”
Scendiamo nel tempo?
“Al piano interrato la preesistente abitazione del Duecento, trasformata tre secoli dopo negli appartamenti per la servitù. Da notare che allora il piano era a livello strada, prima che il tessuto cittadino fosse rialzato. Oggi si possono vedere ancora il pozzo, il focolare, il piano in pietra per fare il bucato, gli stipi dove si riponevano i saponi e la biancheria. Nella seconda cucina, sull’architrave della bocca del forno del XIII secolo la croce ottagona scalpellata è il simbolo dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, fondato da Cosimo I, che veniva impressa sul pane prima di essere infornato.”
E infine scopriamo una vera chicca.
“A margine dell’interrato si trova l’antica cantina che serviva per conservare il vino prodotto dai proprietari, venduto poi in fiaschi attraverso la cosiddetta “buchetta del vino”, finestre che si aprivano sulla strada per un consumo popolare (che un tempo si affacciava su via delle Seggiole) e che oggi stanno tornando di moda. Alcune arcate in pietra di quest’area potrebbero risalire addirittura alla Firenze di fondazione romana tra il 30 e il 15 a.C., dato che è stato messo in luce come l’edificio sorga nei pressi delle antiche mura romane”.
a cura di Ilaria Guidantoni