![gu]()
E’ stato finalmente pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso lunedì 29 luglio il decreto del 27 giugno 2019 del Ministero dello Sviluppo Economico che stabilisce le modalità di investimento del Fondo Nazionale per l’Innovazione (FNI) con dotazione di un miliardo di euro, annunciato lo scorso marzo a Torino dal Ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi Di Maio (si veda altro articolo di BeBeez).
Allora Di Maio non aveva spiegato come il Fondo sarebbe arrivato a quel miliardo di euro, ma aveva sottolineato che il FNI sarà un soggetto unico, capace di riunire e moltiplicare risorse pubbliche e private. BeBeez aveva sottolineato che a quella cifra si poteva arrivare facendo rapidamente due conti, visto che la direttiva firmata pochi giorni prima dallo stesso Di Maio, prevista dalla Legge di Bilancio 2019, autorizzava la cessione da parte di Invitalia spa del 70% del capitale sociale di Invitalia Ventures sgr, a prezzo di mercato e a patto che Cdp apporti risorse aggiuntive, almeno pari all’ammontare delle risorse pubbliche già in gestione alla sgr (si veda altro articolo di BeBeez). Precisando quindi meglio quanto previsto dal comma 116 dell’art.1 della Legge di Bilancio 2019, che dice che “a fine di semplificare e rafforzare il settore del venture capital e il tessuto economico-produttivo del Paese, il Ministero dello sviluppo economico può autorizzare la cessione, a condizioni di mercato, da parte dell’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa spa, Invitalia, di una quota di partecipazione, anche di controllo, detenuta nella società di gestione del risparmio Invitalia Ventures sgr spa, Invitalia sgr, nonché di una quota di partecipazione in fondi da essa gestiti, per favorire la gestione sinergica delle risorse (…) già affidate a Invitalia sgr, e a condizione che dalla cessione derivi l’apporto di risorse aggiuntive da parte del soggetto acquirente“.
Le risorse in gestione alla sgr in questione sono oggi oltre 500 milioni di euro, dunque Cdp dovrà apportarne altrettante, arrivando a oltre un miliardo di euro di dotazione. Vediamo perché.
A oggi Invitalia Venture sgr gestisce due fondi: Italia Venture I, con dotazione di 86,65 milioni di euro, fondo di venture capital che agisce in co-investimento con operatori privati nazionali e internazionali, e Italia Venture II (Fondo Imprese Sud), strumento di private equity, con una dotazione finanziaria di 150 milioni di euro istituito con la Legge di Bilancio 2018 (commi 807-900), finanziato con risorse a valere sul Fondo per lo sviluppo e per la coesione. Quest’ultimo Fondo era stato creato per favorire, anche attraverso il capitale di rischio , la crescita dimensionale delle pmi meridionali (si veda altro articolo di BeBeez).
L’art. 6 del nuovo decreto precisa che i 150 milioni di euro del fondo Italia Venture II saranno investiti “in uno o più fondi per il venture capital , ovvero in uno o più organismi di investimento collettivo del risparmio che investono in Fondi per il venture capital , istituiti e gestiti dalla sgr (Invitalia sgr, ndr) o da altre società autorizzate da Banca d’Italia a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio”
A Invitalia era stato inoltre affidata nel maggio 2018 la gestione di un fondo di reindustirializzazione, battezzato Italia Venture III, con una dotazione di 200 milioni di euro. Tuttavia la il comma 122 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2019 ha riassegnato quei 200 milioni di euro al MISE (si veda altro articolo di BeBeez). E il decreto appena pubblicato in Gazzetta a sua volta precisa all’art. 12 che anche i 200 milioni del fondo Italia Venture III saranno a loro volta investite allo stesso modo di quelle del fondo Italia Venture II.
Ma poi ci sono le risorse dirette del Fondo di Sostegno al Venture Capital, per un totale di 110 milioni di euro previste dalla Legge di Bilancio 2019. Questi 110 milioni sono stati previsti, come noto, dal comma 209 dell’art. 1 della Legge di Bilancio 2019, che istituisce, nello stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, appunto il Fondo di Sostegno al Venture Capital “con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 e di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2022 al 2025” e il decreto appena pubblicato in Gazzetta ricorda all’art. 3 che “Il Ministero, attraverso le risorse del Fondo di sostegno al venture capital , opera investendo in uno o più fondi per il venture capital , ovvero in uno o più organismi di investimento collettivo del risparmio che investono in fondi per il venture capital, istituiti e gestiti dalla sgr (Invitalia sgr, ndr) o da altre società autorizzate da Banca d’Italia a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio”.
Detto questo, l’art. 7 del decreto precisa che “i fondi per il venture capital di cui all’art. 3 e di cui all’art. 6 (quindi quelli in cui saranno convogliate le risorse di Invitalia sgr, ndr) investono esclusivamente nel capitale di rischio di pmi con elevato potenziale di sviluppo e innovative, non quotate in mercati regolamentati, che si trovano nella fase di sperimentazione ( seed financing ), di costituzione ( start-up financing ), di avvio dell’attività ( early-stage financing ) o di sviluppo del prodotto ( expansion, scale up financing )”, con un’eccezione, precisata al comma 2: “Qualora i fondi per il venture capital di cui all’art. 3 e di cui all’art. 6, o un comparto dei fondi medesimi, operino a condizioni di mercato ai sensi dell’art. 4 del presente decreto, è possibile investire una quota non superiore al 15 per cento del valore degli attivi in pmi emittenti azioni quotate”.
Dove per pmi si intende (art. 1 del decreto) “l’impresa che occupa meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro ai sensi dell’allegato 1 al regolamento di esenzione”, cioé il Regolamento Ue n. 651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, sugli aiuti di Stato, che è lo stesso sulla base della quale sono stati previsti gli incentivi fiscali relativi a PIR ed Eltif (si veda altro articolo di BeBeez).
Gli investimenti delle risorse in questione potranno essere condotti o in regime di mercato (art. 4 del decreto) oppure in regime di esenzione (art. 5), quando ne ricorrono le condizioni. In ogni caso è previsto un concorso di risorse pubbliche e di risorse private.
Nel caso di investimento a condizioni di mercato, gli investitori privati indipendenti devono
i. investire nei fondi oggetto di investimento delle riserse pubbliche per un valore pari almeno pari al 30 per cento del loro ammontare totale;
oppure ii. investire in coinvestimento nelle singole operazioni effettuate dai fondi per il venture capital oggetto di investimento del MISE per un importo almeno pari al 30 per cento dell’investimento nella singola operazione;
oppure iii. investire con una combinazione delle modalità precedenti in modo tale da garantire che le risorse finanziarie complessivamente apportate nella singola operazione di investimento nella pmi da parte di investitori privati indipendenti siano almeno pari al 30 per cento.
Nel caso di investimento in esenzione, l’investimento da parte di investitori privati indipendenti deve essere almeno pari al:
a) 10 per cento dell’operazione, nel caso di finanziamento concesso alle pmi che non hanno ancora operato in alcun mercato
oppure b) 40 per cento dell’operazione, nel caso di finanziamento concesso alle pmi che operano in un mercato qualsiasi da meno di sette anni dalla loro prima vendita commerciale;
oppure c) 60 per cento dell’operazione, nel caso di finanziamento concesso alle pmi che necessitano di un investimento iniziale per il finanziamento del rischio che, sulla base di un piano aziendale elaborato per il lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso su un nuovo mercato geografico, è superiore al 50 % del loro fatturato medio annuo negli ultimi cinque anni. E il tutto, fermo restando che l’investimento complessivo in ciascuna pmi in regime di esenzione non può eccedere l’importo di 15 milioni.
Le risorse aggiuntive della Cdp, dice poi l’art. 12 del decreto, che agli stessi interventi previsti per il Fondo di sostegno al venture capital (art. 3 del decreto) verranno destinate “le entrate dello Stato derivanti dalla distribuzione di utili d’esercizio o di riserve sotto forma di dividendi delle società partecipate dal Ministero dell’economia e delle finanze, in misura non inferiore al 15 per cento del loro ammontare, secondo il procedimento di cui all’art. 1, comma 216, della legge n. 145/2018″. Si parla, quindi, in sostanza, degli utili della Cdp.
Tuttavia, questa norma, evidentemente per una svista, va contro a quanto scritto nella legge di conversione del Decreto Crescita, che prevede che lo Stato possa utilizzare “fino al 10 per cento” di quell’ammontare. Resta quindi da capire se dovrà essere prevista un’ulteriore modifica normativa in proposito oppure no.