
Ben vengano gli incentivi fiscali per prodotti che investono in economia reale e dedicati a un pubblico non professionale, che rispettano precisi criteri, ma in ogni caso il mercato ha già deciso che quello dei private asset è un tema da cavalcare a prescindere. Certo, con tutte le avvertenze del caso, in modo da proporre il prodotto giusto all’interlocutore giusto, ma il concetto che anche investimenti illiquidi e di lungo periodo possano essere di interesse di una clientela privata è ormai passato, la domanda c’è e l’offerta si sta adeguando.
Lo hanno detto chiaro nei giorni scorsi gli intervenuti al convegno organizzato da BeBeez nella sede di Milano Finanza su investimenti alternativi e mondo private e che non a caso ha avuto il patrocinio dell’Associazione Italiana Private Banking (AIPB).
L’AIPB, ha detto il segretario generale Antonella Massari nel suo intervento al convegno (scarica qui le slide dell’intervento), si sta battendo per il “riconoscimento di una categoria di investitori private, i quali più che sulla base di caratteristiche personali, trovino l’elemento qualificante nel tipo di servizio ricevuto e dalle relative tutele che da esso promanano”. In sostanza, se un cliente private è cliente di un servizio di consulenza adeguato, come quello offerto dal private banking, in grado di orientare il cliente-investitore verso scelte che siano in grado di coniugare rendimenti a sviluppo dell’economia reale, questo cliente dovrebbe poter accedere a investimenti di private capital, che oggi sono accessibili solo agli investitori istituzionali e professionali.
Questo concetto, ha detto ancora Massari, va di pari passo con la “proposta di abbassamento della soglia minima di accesso per una giusta diversificazione degli investimenti in partnership con AIFI”. Massari parla della soglia attuale di 500 mila euro di investimento minimo per i fondi riservati, che appunto anche il direttore generale dell’Associazione Italiana Private Equity, Venture Capital e Private Debt (AIFI), Anna Gervasoni, nel suo intervento al convegno di BeBeez, ha detto che “andrebbe rivista al ribasso per permettere di potenziale la raccolta del private capital presso il private banking” (scarica qui le slide dell’intero intervento). Con vantaggi importanti, peraltro, in termini di performance dei portafogli dei clienti.
In questo ultimo anno e mezzo il mercato azionario internazionale è stato infatti sulle montagne russe, mentre i tassi di interesse, seppure in rialzo, si trovano ancora storicamente a livelli molto bassi. Un mix che per i portafogli di strumenti quotati si è rivelato micidiale, soprattutto nel 2018. La ricerca di soluzioni alternative, dunque, in grado di associare rendimenti interessanti e stabilità di performance ora è più che mai alla ribalta ed è per questo che sempre più asset manager italiani e internazionali stanno proponendo alla clientela privata prodotti di investimento con focus sugli asset alternativi.
Secondo i calcoli di Kpmg sui dati AIFi, i disinvestimenti condotti nel 2018 dal private equity e il private debt in Italia hanno reso un Irr del 16,9% all’anno nel periodo in cui i fondi hanno mantenuto i loro investimenti in portafoglio, ha sottolineato Gervasoni.
Intanto nei primi sei mesi dell’anno il private capital ha già lavorato parecchio, sebbene le grandi le operazioni siano invece state rare. Lo calcola BeBeez Private Data sulla base dei dati pubblici. In particolare, sono state mappate 119 operazioni di private equity tra investimenti e disinvestimenti, 129 startup che hanno raccolto in totale oltre 271 milioni di euro e poco meno di 1,2 miliardi di euro di emissioni di private debt di cui soltanto tre per importi superiori ai 100 milioni di euro e con 55 emissioni da 50 milioni o meno (si veda qui il Private Capital Report di BeBeez).
Tornando all’offerta di prodotti con focus sui private asset e dedicati alla clientela privata, alcuni sono oggi strutturati come Eltif o European Long-Term Investment Fund, cioé fondi di investimento alternativi chiusi di diritto europeo che hanno un’ottica temporale di lungo termine e che sono sottoscrivibili anche dagli investitori privati, perché sono concepiti tenendo conto di una serie di criteri che in qualche modo ne limitano i rischi.Gli Eltif sono stati concepiti per essere la soluzione più adatta per canalizzare sull’economia reale i risparmi a lungo termine della clientela privata e in particolar modo di quella del private banking, cioè i privati dotati di patrimoni di una certa dimensione e quindi potenzialmente più in grado di prendersi rischi di investimento tipici del private capital e di mantenere impegnati i capitali a lungo termine. Non a caso in genere questi prodotti richiedono comunque tagli di investimento minimi attorno ai 100 mila euro.
L’ultimo prodotto di questo tipo annunciato in ordine di tempo è l’Eltif di Muzinich battezzato Firstlight Middle Market Eltif e strutturato in collaborazione con Cordusio sim, la società di wealth management del gruppo Unicreditsi veda altro articolo di BeBeez). Lanciato lo scorso marzo, “a oggi ha già raccolto 140 milioni di euro“, ha detto al convegno di BeBeez Filomena Cocco, managing director business development Europa di Muzinich, ricordando che “il fondo investe in un mix di prestiti sindacati ad aziende europee, bond emessi da società europee non quotate o prestiti erogati a queste società, e bond high yield (cioè ad alto rendimento, ma anche ad alto rischio) emessi da società europeeo e quotati sui mercati europei. Una scelta che abbiamo fatto per poterci permettere di selezionare con calma gli investimenti di private debt, quelli più illiquidi, e partire nel frattempo con la costruzione del portafoglio liquido con l’acquisto sul mercato di syndacated loan in modo da poter impiegare subito il capitale e iniziare a fornire dei flussi di rendimento agli investitori. Il tutto per rendere più facile il primo approccio di una clientela retail, seppure dotata di grandi patrimoni, al nuovo prodotto”.
Ma negli ultimi mesi si sono rincorsi annunci in di prodotti di investimento in private asset dedicati ai retail da parte di vari asset manager, anche non strutturati come Eltif e quindi con i livelli di protezione minimi fissati per quei prodotti.
Per esempio, a marzo 2019 Mediobanca Private Banking ha annunciato di aver raccolto 135 milioni di euro dagli investitori privati per il suo primo fondo dedicato a investimenti in strumenti illiquidi (si veda altro articolo di BeBeez). La strategia del fondo, battezzato Mediobanca Private Markets Fund I, è stata sviluppata dalla statunitense Russell Investments, advisor globale di clienti istituzionali e leader globale nel processo di selezione dei manager negli alternativi. Russell Investments sarà anche il gestore operativo del fondo. “Il private equity fa parte delle asset class a cui crediamo i clienti professionali debbano avere esposizione strutturale, anche se limitata. Ci siamo mossi coerentemente con il nostro posizionamento: focalizzato su clientela HNWI e UHNWI, anticipando il mercato”, ha detto Theo Delia-Russell, Deputy Head di Mediobanca Private Banking, intervenendo al convegno di BeBeez.
Delia-Russell ha spiegato che “la scelta è stata quella di trovare un primario partner globale che fosse indipendente ed avesse un indiscusso track record: come asset allocator negli illiquidi e come accesso ai migliori fondi di private equity a livello globale, anche quelli meno noti al grande pubblico. Quanto alla struttura, abbiamo scelto di partire con un fondo chiuso e riservato di diritto irlandese, con molte maggiori restrizioni in termini di collocamento, ma con maggiore libertà di operatività per il gestore. Lo definirei un vero ‘advised fund’ di private equity”. Il fondo in questione, ha detto ancora il manager di Mediobanca, “è un fondo globale, con maggiore focus su Usa e su Europa, ma diversificato per gestori e per strategie: sarà investito prevalentemente nel mercato secondario ma anche in real asset; questo per avere una durata più breve e flussi di cassa già dai primi anni. Fa parte di un programma di investimento in questa asset class: un secondo fondo. partirà immediatamente dopo l’estate”.
Ci sono però clienti con disponibilità molto più importanti, diciamo oltre i 50 milioni di euro, professionali, family office o piccoli istituzionali, che chiedono di avere accesso ai singoli fondi. Per questi clienti, “stiamo studiando soluzioni che permetteranno ai nostri clienti professionali e ai clienti istituzionali di avere accesso diretto ai singoli fondi. E’ un percorso con maggiori complessità, su cui stiamo sviluppando diverse opzioni“, ha anticipato Delia-Russell.
Tornando a investitori privati con disponibilità più limitate anche Giovanni Carenini, condirettore generale di Amundi sgr, pure lui in occasione della tavola rotonda di BeBeez, ha detto: “Per quanto riguarda la possibilità di estendere alla clientela retail gli strumenti di private capital, siamo molto favorevoli. I fondi d’investimento alternativi riservati potrebbero rappresentare una giusta alternativa ai Pir e agli Eltif per alcuni portafogli che investono in determinati settori o tematiche per i quali laconcentrazione degli investimenti è necessariamente più elevata, ma la soglia di accesso di 500 mila euro, che si confronta con soglie molto più basse all’estero, rappresenta inevitabilmente un limite. In Francia la soglia è di soli 100 mila euro, in Lussemburgo di 125 mila e in Germania di 200 mila”. Per questo l’anno scorso Amundi aveva pensato di strutturare un Eltif che fosse anche compliant con le norme Pir.
Ha detto Carenini:“Ci eravamo riusciti. Avevamo ottenuto l’autorizzazione al lancio dell’Eltif e avevamo chiesto all’Agenzia delle Entrate se il nostro prodotto sarebbe stato eligibile per usufruire degli incentivi fiscali sui PIr. La risposta dell’Agenzia delle Entrate era stata positiva, ma ahimé è arrivata il 4 gennaio 2019, cioè quando era già entrata in vigore la Legge di Bilancio 2019 che modificava le norme sui Pir, introducendo anche l’obbligo di investire il 3,5% del patrimonio in strumenti di venture capital”. A quel punto, tutto era da rifare. Ma Carenini non si dà per vinto. “Abbiamo messo quell’Eltif nel freezer perché fortunatamente il MISE si è lasciato una via d’uscita, dicendo, attraverso l’art.6 del del DM 30/4/2019, che si dà sei mesi di tempo per verificare gli effetti della norma sull’entità della raccolta Pir, anche al fine di valutare possibili modifiche della normativa. Per ora di mesi ne sono passati due. Ne restano quattro, poi vediamo. Nel frattempo però, il Decreto Crescita ha introdotto gli interessanti incentivi fiscali sugli Eltif. Siamo già al lavoro con l’obiettivo di lanciare un Eltif tra la fine d’anno e l’inizio 2020”.
Sempre senza pensare a incentivi fiscali di sorta, nel luglio 2018, infine, il gruppo Azimut ha lanciato il fondo Azimut Private Debt, il primo fondo di questo tipo dedicato agli investitori retail e distribuito dalla rete di consulenti finanziari e wealth manager del gruppo (si veda altro articolo di BeBeez). Il fondo, gestito da Azimut Capital Management sgr, ha come advisor P&G sgr, DeA Capital Alternative Funds sgr e Green Arrow Capital sgr. Ma questo è stato solo il primo assaggio, perché Azimut ha in programma tutta una serie di progetti sul tema. Tanto da immaginare ad “arrivare nel 2024 con un 15% delle masse in gestione investite in private market, il che significa 8-10 miliardi di euro“, ha sottolineato l’amministratore delegato Paolo Martini al convegno di BeBeez, ricordando quanto annunciato all’investor day a inizio giugno (si veda qui la presentazione agli analisti).
“La soglia di accesso ai fondi chiusi (500 mila euro, ndr) è troppo elevata, bisogna spingere verso la democratizzazione”, ha detto ancora Martini, avvalorando una discussione che stanno da tempo conducendo in tandem AIFI e AIPB a livello istituzionale presso le autorità di vigilanza, così come hanno spiegato Anna Gervasoni e Antonella Massari, rispettivamente direttore generale e segretario generale delle due associazioni.
E, ha detto ancora il ceo di Azimut, “il fatto che il nostro fondo di private debt dedicato alla clientela retail, che ha una soglia minima di 25 mila euro, abbia raccolto 120 milioni di euro dai nostri clienti, è l’esempio chiaro che c’è mercato. Non sono d’accordo con chi ritiene che un investitore retail debba investire in private asset soltanto quando ha un patrimonio di milioni di euro. Se le soglie di investimento fossero più basse, si potrebbe mantenere la diversificazione. Basta vedere che cosa succede con l’equity crowdfunding. Peraltro ritengo che i prodotti che possiamo proporre noi siano più tutelanti, visto anche quanto richiesto oggi da Mifid 2”.
Martini ha poi tenuto a sottolineare: “Negli ultimi cinque anni abbiamo comunque già investito in private asset per 560 milioni, tra le varie iniziative di fondi e club deal che a ora abbiamo deciso di accelerare e per farlo da un lato stiamo incrementando il nostro team e dall’altro stringiamo delle partnership con chi ha già specifiche competenze”.
A loro volta le sgr che hanno le competenze per investire in private asset sono al lavoro per strutturare nuovi prodotti da proporre. Per esempio, ha detto Eugenio de Blasio, fondatore e ad di Green Arrow Capital sgr, intervenendo alla tavola rotonda di BeBeez, “Green Arrow ha allo studio la strutturazione di due Eltif da 250 milioni di euro ciascuno da promuovere con delle partnership con primari player, che gestiscono reti. Gli Eltif a cui pensiamo andranno a investire su due diverse strategie debito, nelle quali abbiamo un rodato track record. Da un lato stiamo studiando un prodotto dedicato al microcredito, visto che attualmente ne gestiamo uno da circa 120 milioni di euro. E dall’altro pensiamo a un Eltif di private debt dedicato al segmento mid cap italiano, visto che anche su quel fronte abbiamo un’eccellente track record (il fondo di private debt di Green Arrow ha chiuso la raccolta a novembre 2018 a 136,2 milioni di euro, si veda altro articolo di BeBeez, ndr)”.
La stessa cosa potrebbe fare anche Dea Capital Alternative Funds sgr, che a sua volta ha già il mandato di gestione sia per una parte del portafoglio del fondo di Azimut di cui sopra, sia per il fondo di fondi lanciato da Fineco Bank con focus su fondi di private equity, ma anche di credito e distressed debt a livello globale (si veda altro articolo di BeBeez). Questo perché, ha detto il ceo Gianandrea Perco, “i prodotti che meglio si adattano a un investitore private è un prodotto diversificato per geografia, per asset class e per periodo di investimento. Sottolineo quest’ultimo punto, perché conta anche avere investimenti distribuiti nel tempo lungo tutto l’arco del ciclo economico. Noi abbiamo capacità di investimento su tante strategie e quindi abbiamo tutte le capacità di sviluppare proposte di questo tipo in grado di garantire tutti questi tre livelli di diversificazione ai quali l’utente medio non riesce di norma ad accedere”.