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Artissima 2019, il contemporaneo tra desiderio e censura

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Anubumin 2017 Oliver Ressler.jpg

Anubumin 2017 Oliver Ressler.jpg

Torino, una città trasformata in un enorme palcoscenico dell’arte contemporanea, con una costellazione di eventi, mostre e installazione a fare da corona ad Artissima, giunta alla ventiseiesima edizione (dal 31 ottobre al 3 novembre scorso all’Oval del Lingotto, accanto allo spazio The Others, Paratissima e Flash Art. Tra le mostre in linea con il tema dell’anno, desiderio e censura, Abstract Sex alla boutique Jana, provocatoriamente vietata ai minori di 18 anni. Per il terzo anno sotto la direzione di Ilaria Bonacossa, recentemente riconfermata dal Consiglio Direttivo della Fondazione Torino Musei alla guida della manifestazione per altri due anni (sino al 2021). Organizzata dal Comune e Regione Piemonte, è gestita da Artissima srl, società che afferisce alla Fondazione Torino Musei, con l’Unicredit come Main Sponsor, si conferma l’unica fiera italiana dedicata esclusivamente al contemporaneo e una linea strettamente di ricerca.

There_are_no_Syrian_refugees di Oliver Ressler

There_are_no_Syrian_refugees di Oliver Ressler

A Torino si vede il nuovo, non quello che è necessariamente più innovativo o provocatorio, anzi, a dispetto del tema, poco erotismo e nessuna voglia di scuotere gli animi. Un enorme palcoscenico con 208 gallerie, oltre 10mila artisti e 43 paesi rappresentati, con una presenza italiana distribuita da Trieste a Palermo, passando per Lucca e Pescara: inevitabile il protagonismo di Milano, con una presenza considerevole, quanto ovvia di Torino; ben rappresentate Firenze e Bologna, si fa strada Roma con realtà interessanti e sperimentali, diversamente da altre fiere, come se alcune città avessero bisogno della scena giusta per osare e avessero scelto Torino per buttarsi. A livello europeo molto ben rappresentata Parigi, con una ampia scelta di artisti legati alla fotografia, Londra e fin qui niente di nuovo; interessante la presenza di realtà spagnole, portoghese e brasiliane; mentre il centro ed est Europa presentano un’arte molto cupa, da Amsterdam, a Berlino, Vienna e molte altre realtà.

Berlinde Bruyckere

Berlinde Bruyckere

La presenza è fortemente articolata, dal Giappone, all’Iran, a una presenza dell’Arabia Saudita da Jeddah, fino a Beirut, da Dubai a Taipei. Il mondo americano c’è ma New York non sembra protagonista.

Nella varietà della proposta difficile tentare una sintesi anche se si nota un’attenzione all’ambiente e al tema della sostenibilità spiccata. Riconosciuta a livello internazionale per l’attenzione alle pratiche sperimentali e come trampolino di lancio per artisti emergenti e gallerie di ricerca, Artissima è un appuntamento unico che attrae ogni anno un pubblico di collezionisti, professionisti del settore e appassionati. La fiera si riconferma a ogni edizione come la preferita da curatori, direttori di istituzioni, fondazioni d’arte e patron di musei provenienti da tutto il mondo, coinvolti a vario titolo nel suo programma.

Berlinde Bruyckere

Berlinde Bruyckere

La proposta della dialettica desiderio/censura aveva l’obiettivo di stimolare una riflessione aggiornata ed eterogenea sulle ambizioni e sulle utopie contemporanee, sugli impulsi che plasmano i tempi e sulle prospettive e le narrazioni che li attraversano, sul complesso rapporto che esiste nella società contemporanea tra le immagini e il loro controllo, non tanto di analizzare la protesta, come anche nella mostra Abstract sex, dove la pornografia senza erotismo, invita a una riflessione sul corpo con nuovi parametri.

ADA. Benni Bosetto Allegro ma non troppo_2018

ADA. Benni Bosetto Allegro ma non troppo_2018

Tra le novità un Hub Middle East, un nuovo progetto in collaborazione con Fondazione Torino Musei e con la consulenza di Sam Bardaouil e Till Fellrath (fondatori della piattaforma curatoriale Art Reoriented) che intende offrire una ricognizione sulle gallerie, le istituzioni e gli artisti attivi in un’area geografica centrale per gli sviluppi della società contemporanea.

Giorgio Persano_Pistoletto__Smartphone giovane donna 6 movimenti B_2019

Giorgio Persano_Pistoletto__Smartphone giovane donna 6 movimenti B_2019

In continuità con l’indagine sul suono iniziata lo scorso anno, nel 2019 la fiera lancia Artissima Telephone, un progetto espositivo pensato con e per gli spazi delle OGR – Officine Grandi Riparazioni. Ideata da Ilaria Bonacossa e curata da Vittoria MartiniArtissima Telephone offrirà una ricognizione sul telefono come mezzo espressivo artistico.

SUPRAINFINIT GALLERY, Alessandro Teoldi_Untitled_2019

SUPRAINFINIT GALLERY, Alessandro Teoldi_Untitled_2019

Tra le novità di Artissima, figura una ricognizione in forma di infografiche sugli artisti che hanno preso parte a Back to the Future dal 2010, sulla loro carriera e sugli andamenti del mercato dell’arte: un’occasione per celebrare il decennale della nascita di una sezione all’avanguardia della fiera, dedicata alla riscoperta dei pionieri della contemporaneità.

L’organizzazione dello spazio espositivo è molto funzionale, immediato con colori che disegnano il percorso del visitatore che all’ingresso si trova di fronte la galleria ‘multinazionale’ di Milano di Massimo De Carlo con una personale di Lu Song nel percorso “Purple”.

Artissima 2018-Oval-Interni.jpg

Artissima 2018-Oval-Interni.jpg

Cominciando il percorso “Pink”, si incontra tra gli altri la galleria AR ANBAR di Teheran che ha presentato artisti iraniani anche con ascendenze europee come il fotografo Mohamed Ghazali che vive e lavora nella capitale iraniana realizzando foto da prendere in mano, non da appendere alle pareti, perché lo spettatore possa avere un contatto diretto, interattivo e personale con l’opera.

Nella stessa sezione la galleria fiorentina Frittelli, con sede a Novoli in un complesso espositivo, una parte dello stand è stato allestito con la mostra Sexual Politics dal titolo di un saggio degli Anni ’70, pietra miliare del femminismo, una riflessione sulla sesso tra pubblico e privato. In questa sezione solo opere degli Anni ’70 di Libera Mazzoleni con la serie di foto sul bacio; Paolo Mattioli e il suo autoritratto; Diane Ketty La Rocca r Tommaso Bond. Le opere provengono tutte dalla collezione di Carlo Fritteli che con il figlio Simone si è dedicato all’arte italiana del secondo dopoguerra tra cui la poesia visiva come nel caso della poetessa Lucia Marcucci, seconda parte dell’esposizione, esponente del femminismo. La Galleria in mostra ha inteso evidenziare la sua vocazione storica per inserirsi nel dibattito della fiera sul tema del desiderio e della corporeità a partire da un momento cruciale della cosiddetta rivoluzione sessuale e liberazione. Il 9 novembre inaugura a Firenze una personale di Corrado Cagli, autore oggetto di una recente riscoperta.

Galerie in situ - Fabienne Leclerc, Paris Lynne Cohen Police Range_1990

Galerie in situ – Fabienne Leclerc, Paris Lynne Cohen Police Range_1990

Nel viaggio virtuale abbiamo incontrato, nel percorso “Gray”, la Galleria Sokyo di Kyoto con una personale di Kimiyo Mishima.

Molto presente la fotografia nelle gallerie francesi dove presso In Situ di Fabienne Leclerc abbiamo incontrato l’artista canadese Lynne Cohen (1944-2014) che si è occupata unicamente di fotografia, dopo una formazione molto classica alle Belle Arti di Toronto, dedicandosi dapprima alla scultura. L’ingresso in galleria è stato grazie ad un artista e amico comune. Si tratta di una personalità conosciuta negli Stati Uniti e in Francia dove ci sono state sue personali a Montpellier al Pavillon Populaire e al Centre Beaubourg, che ha acquistato un certo numero di sue opere per la collezione permanente, è in programma probabilmente nel 2021. Il suo approccio è quasi cinematografico sebbene fotografi edifici tali quali li trova senza nessun allestimento e anche la presenza umana è percepita ma non esistente, cercando di fotografare attraverso le situazioni la società, ad esempio la classe media americana tra gli Anni ’70 e ’90. Tra le curiosità il fatto che metta in risalto le prese elettriche come testimonianza là dove molti fotografi le cancellano con photo shop. Da sempre in bianco e nero le sue immagini dalla fine degli Anni ’90 hanno avuto delle tirature colorate.

Artissima 2018 -OvalEsterni-

Artissima 2018 -OvalEsterni-

Nel corridoio “Black” presso la Galleria Gentili di Firenze il duo Jessica Warboys (artista della Gran Bretagna che nel 2013 ha partecipato a Documenta, ospite nel 2017 con una personale alla Tate, segnalata per la Young British Art) e Vanessa Billy (artista svizzera nel 2020 sarà a Roma all’Istituto Svizzero con una personale) con opere realizzate nell’ultimo anno, a parte un video del 2015, in dialogo sulla comune concezione della vita – l’idea che l’individuo sia parte di una tutto – e l’attenzione alla natura e alle sue tracce, che si rintracciano sia sulle grandi tele, quasi dei sudari, della prima, sia sui calchi della seconda. Le tele sono state realizzate immergendo il tessuto nell’acqua e muovendolo con la conseguente formazione di disegni. I calchi (creati con concrete e polvere) rappresentano parti anatomiche di una donna il cui dato più importante è che si tratta di una persona incinta. Le due artiste usano materiali naturali e tecniche antiche come le piombature nel caso di opere che rappresentano le vetrate ispirate a quelle di Santa Maria del Fiore.

La Podbielski Contemporany ha scelto di presentare un progetto sulla “Grey Zone” nel Medioriente attraverso lo sguardo di 5 fotografi in un intreccio tra ambiente sociale e disagi ambientali.

Nell’ambito dello spazio “Light Blue” presso la Galleria di Teheran Dastan’s Basement la personale di Meghdad Lorpour (35 anni della provincia di Fars) con la serie Daryàbàr con i suoi mari infiniti che mimano il sentimento dell’assenza, che inondano o svuotano i paesaggi, là dove c’è stata la grande civiltà persiana.

Tra le gallerie note e habitué delle fiere di arte contemporanea la Galleria Continua di San Gimignano a spiccata vocazione internazionale con una scelta antologica di grandi nomi: Loris Cecchini, il giovane duo Ornaghi e Prestinari, Kiki Smith e Armano Testa con Caballero e Carmencita icone della Lavazza.

Alberta Pane con sede a Parigi e Venezia ha presentato tre artisti molto diversi tra di loro, Marie Denis, parigina, che realizza collage e incisioni dove il tema natura è ben presente; Romina De Novellis, fotografo, video maker e performer, napoletana residente a Parigi; e Michele Spanghero, italiano che realizza sculture sonore.

Melissa MGill i riflessi.jpg

Melissa MGill i riflessi.jpg

Sul tema ambientale unito alla valorizzazione e difesa del patrimonio culturale, un progetto contro il turismo di massa è di scena alla Galleria Mazzoleni, con sede a Torino e Londra, ospitata nel percorso “Green”, con l’artista newyorkese Melissa McGill e il suo progetto Red Regatta che vede coinvolti 300 collaboratori veneziani. La competizione a vela fa uso di imbarcazioni particolari che hanno un albero che si può togliere e rimettere per passare sotto i ponti e, come ci ha raccontato l’artista, “la vela celebra il vento, l’acqua e la città di Venezia, garantendo meno impatto ambientale delle navi a motore. Si tratta di 52 barche ognuna con una vela rossa di una tonalità unica.”

Il progetto, ci ha illustrato, si compone di tre parti, rispettivamente, il video documentario; le foto con interventi dipinti a mano che mostrano i riflessi rossi in acqua (naturali, non ritoccati, ha tenuto a precisare); e gli studi di colore su tessuto per la vela.

Melissa MCGill, Red Regatta.jpg

Melissa MCGill, Red Regatta.jpg

Una scelta esclusivamente tra artisti italiani e statunitensi per Clima di Milano, nata dal fatto che il gallerista Francesco Lecci, ha vissuto molto a New York e ha voluto puntare su artisti di un ambiente a lui familiare: in mostra Lisa Dalfino e Sacha Kanach, un duo, che ha presentato dei blocchi di argilla crudi fatti esplodere dall’interno con una carica per testimoniare la sfida costante tra uomo e materia, fino alla tensione massima.

Roma, di solito più timida nel mondo del contemporaneo, a Torino ha presentato esperienze interessanti come quella di The Gallery Apart che ha scelto un’antologia di tre artisti impegnati nel sociale, in particolare Oliver Ressler, classe 1970, che vive e lavora a Vienna. Artista e regista, realizza performance e progetti per spazi pubblici e film su temi sociali e ambientali di denuncia politica. A marzo 2020 sarà a Roma alla Galleria con un personale, la seconda ad Apart, 70 in totale e oltre 300 partecipazioni a collettive.

Sta realizzando una serie di film sui cambiamenti climatici, di cui 4 presentati a Venezia ai Magazzini del sale e un per la prima volta all’Apart, che prende spunto da un’azione di occupazione del red carpet da parte di movimenti civili all’ultima Biennale.

Nel percorso “Red” abbiamo incontrato la Galleria Lia Rumma con sede a Napoli e Milano  con in esposizione lo street artist William Kentridge, il fotografo Ugo Mulas, a Torino con una serie di foto sulla Callas e un’opera di Vanessa Beecroft.

La Galleria Bolognese De’ Foscherari, lungo il percorso “Yellow”, presenta un doppio percorso mettendo insieme la propria vocazione storica con opere dagli Anni ’60 con opere di Gilberto Zorio, Claudio Parmiggiani, Pier Paolo Calzolari, Mario Schifano, Mario Ceroli con un percorso di ricerca verso nuovi orizzonti con nomi come Luca Vitone.

Tra Londra e Istanbul la Artworks presenta, oltre opere ‘più classiche’ come quelle di Giulio Paolini, Jonathan Monk che lavora riprendendo i lavori di altri artisti in chiave filosofica in una chiave di storia dell’arte, con un’evidente citazione, nel lavoro in mostra, di Alighiero Boetti.

Curioso il lavoro di Barbara Probst, esposto alla Galleria Monica De Cardenas – con sedi a Milano, Zurigo e Lugano – nata a Monaco di Baviera, vive e lavora a New York – che è in mostra adesso a Milano; a parte un nudo, il primo realizzato dall’artista, il lavoro presentato a Torino lavora sulla frammentazione fotografica che crea una narrazione, anche con l’uso di droni.

Giorgio Persano di Torino – lungo il tracciato “Dark Blue” – oltre a un grande Michelangelo Pistoletto 2018, ha presentato Per Barclay, artista norvegese, classe 1955, che si divide tra il suo paese e la città di Torino; ha rappresentato nel ’90 la Norvegia alla Biennale di Venezia. Lavora con le camere a olio dagli Anni ’90 come si evidenzia dalle opere in mostra realizzate a Lisbona in un nuovo spazio per l’arte contemporanea, riempiendo di olio con colorante nero delle vasche in modo da ottenere riflessi che rispetto al classico specchio che ha una riflessione piatta, crea una texture più morbida e profonda. Le tele sono state realizzate all’interno di questa falegnameria e si vede il confine tra interno, con i faretti ad esempio e l’esterno della città, che attraversa la finestra.

Spostandoci di nuovo lungo il percorso “Pink”, la nostra penultima tappa ci porta in Arabia Saudita con la ATHR Gallery di Jeddah – che tratta per lo più artisti sauditi a livello internazionale (per lungo tempo l’unica ad aver svolto questo tipo di promozione) dove abbiamo incontrato Mouhannad Shono, residente a Riadh e figlio di genitori siriani, presente con Spring, installazione in pvc nero in evidente contrasto con il titolo dell’opera. Il tema è legato alle tubature che portano petrolio e ad una duplice riflessione: l’inquinamento da combustibile e il rischio di una dipendenza eccessiva da una risorsa che non è inesauribile. Mouhannad all’inizio realizzava Graphic Novel ma gradualmente è arrivato a forme di arte astratte con un approccio nuovo alla psicologia collettiva araba, rimettendo in discussione molte convinzioni e insegnamenti in modo polemico, rispetto a quanto ha assimilato nel corso della sua educazione.

Sul percorso “White” ci siamo fermati da Suprainfinit di Bucharest con una bella presenza dell’artista italiano Alessandro Teoldi, classe 1987, italiano basato a New York, dove si è trasferito dopo la laurea all’Istituto Europeo di Design, finalista al Premio Cairo 2019. Nel 2015 viene selezionato per una residenza presso Baxter St – The Camera Club of New York e in seguito a quest’esperienza si distanzia progressivamente dalla fotografia e si avvicina ad altri linguaggi artistici tra cui l’installazione, la scultura ed il ricamo. Dal 2016 si dedica ad una serie di lavori tessili, realizzati utilizzando le coperte distribuite sugli aerei dalle compagnie di volo internazionali, come quelli in mostra, che l’artista trova o acquista online. La serie è una sorta di intima meditazione sui temi del distacco e dell’appartenenza ad un certo luogo e ad una certa cultura.

Abstract Sex, una mostra progetto per ripensare il corpo 

Abstract Sex sottotitolo We don’t have any cloche, only equipment, è un progetto espositivo di Artissima di nuova concezione, incentrato sul tema del desiderio, in linea con il fil rouge di questa edizione. Ospitato negli spazi di Jana, storica boutique di moda torinese,  si interroga sulla rilevanza del desiderio nella ricerca artistica e culturale più recente, attraverso video, sculture, opere su tela o carta e oggetti selezionati dalle gallerie che partecipano ad Artissima 2019Il progetto, nato da un’idea di Ilaria Bonacossa, è a cura di Lucrezia Calabrò Visconti e del gallerista Guido Costa, eccentrico e con una ricerca di gallerie dalla selezione non comune, e il giorno dopo l’apertura, inaugurata con una ifla di 350 persone, era già qualcosa di cui si parlava, pur tra una miriade di eventi, complice anche l’averla vietata ai minori di 18 anni (non accompagnati). Forse un po’ troppo, anche se a mio parere non adatta a dei bambini, neppure se accompagnati, e in contraddizione con lo spirito stesso del progetto. Abbiamo avuto il privilegio di essere accompagnati dalla curatrice, Lucrezia Calabrò Visconti che ha sottolineato che “è stata Artissima ad imporlo forse proprio in modo provocatorio perché pone l’accento sulla convenzione del limite dei 18 anni per una libera scelta”.

Una mostra sul sesso e più ancora sulla concezione del corpo fuori da convenzioni, quali che siano, che nel tempo sono cambiate, magari addirittura alcune situazioni hanno invertito il senso, come racconta l’interpretazione di alcune opere in mostra, ma pur sempre rimaste come concetto. Una mostra dove al di là di qualche filmato, anche forte, non c’è sesso, tanto meno eros e sensualità. “Anche nell’allestimento, ha precisato la Calabrò, non volevamo luci soffuse, toni cupi e intriganti, nulla di conturbante ma una narrazione documentata. Non è un caso che a parte un filmato nel quale è l’artista stessa a filmarsi non ci siano corpi femminili esposti ma solo maschili. Una destrutturazione basata su uno studio approfondito di testi di riflessione sull’argomento”.

Qualcuno forse potrebbe pensare anche un’operazione di marketing. Sicuramente, al di là di ogni giudizio estetico, che in questo caso vale meno che in altri, non c’è nulla di pruriginoso né di attraente, forse neanche a livello emozionale.

“Il lavoro sul corpo, ci ha spiegato la curatrice, è stato realizzato partendo dall’interno e cambiando completamente il punto di riferimento usuale”.

Dopo la seconda guerra mondiale, un industriale decise di convertire i macchinari fino a quel momento utilizzati per la fusione delle bombe in apparati per la produzione di caschi asciugacapelli per i saloni di bellezza. Le tecnologie sofisticate della guerra si trasformarono così in dispositivi per il perfezionamento del “corpo” come concetto socialmente e culturalmente determinato. Nello stesso momento storico l’arena politica iniziava a parlare di genere, di un’identità sessuale non più naturale, ma piuttosto artificialmente costruibile – e, di conseguenza, mercificabile. Nel 1971 un gruppo di lesbiche armate di salami attaccarono il Professor Jérôme Lejeune mentre teneva una conferenza contro l’aborto. L’evento segnò la nascita del “Commando Saucisson” (commando salame), attorno al quale si sarebbe riunito poco più tardi il Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire. Nella protesta, i salami diventavano una parodia degli strumenti tradizionali della politica: i manganelli della polizia e i falli del patriarcato. L’idea è non solo sovvertire per instaurare nuove forme dittatoriali ma destrutturare la stessa differenze, ad esempio, tra i generi sessuali. La mostra Abstract Sex: We don’t have any clothes, only equipment in tal senso disarma le rappresentazioni tradizionali del desiderio suggerendo alleanze inattese tra corpi, batteri, oggetti, macchinari e tecnologie. Attraverso un intreccio di narrazioni minori, storiche e contemporanee, propone una prospettiva trasversale tra virtualità e materialità, secondo la quale tutto ciò che ci circonda può venire ripensato come equipaggiamento, arma al servizio della definizione di nuove mitologie. Da cui il sottotitolo tratto dal film Deserto del 2018 di Jacopo Miliani.

Alcune opere in mostra evocano la stretta relazione tra forme contemporanee di piacere e forme globalizzate di consumo, confrontandosi con le ambivalenti conseguenze della virtualità. Il tema del desiderio legato al consumo è abbastanza evidente e basti l’esempio dell’opera dell’artista polacco Karol Radziszewskii con Karol&Natalia, una foto nella quale due persone mangiano una banana fu censurata perché sotto il regime la banana era un simbolo consumistico, bene di lusso ed esotico; poi naturalmente l’interpretazione simbolica è invece di natura sessuale. Altri lavori esplorano tecniche di appropriazione e travestitismo come momenti emancipatori di produzione di soggettività, come nel caso delle opere di Marcel Bascoular che sfuggono le categorie culturali dominanti. Infine, la mostra si focalizza sul corpo, come involucro poroso per l’incontro di organismi e interessi diversi, macchinario somatico e politico i cui orifizi possono diventare canali per la sperimentazione collettiva di nuove mitologie. Forse l’opera più interessante è quella di Benni Bosetto, artista con una produzione estremamente variegata, comprensiva anch della scultura, della Galleria ADA Roma – uno dei suoi lavori anche all’Oval del Lingotto – ha realizzato su due pareti un disegno con una matita trovata nello stesso luogo per caso. Nella parte di sinistra una sorta di macchina tra il vegetale e l’ovale dove tutti i personaggi sono collegati tra di loro attraverso i propri orifizi, mentre nella parete di destra la macchina è una narrazione sequenziale che cita in modo dotto e criptico ad un tempo la storia dell’arte, cominciando ad esempio da una sorta di compianto.

Tra le tante proposte abbiamo fatto tappa alla Fondazione Mario Merz dov’è allestita la mostra dedicata a Emilio Prini e alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo con l’esposizione della fiamminga Berlinde De Bruyeckere, Aletheia.

 

Emilio Prini alla Fondazione Merz

Inaugurata alla vigilia di Artissima, la personale di Emilio Prini resterà aperta fino al 9 febbraio 2020, alla Fondazione Mario Merz, dove nel cortile c’è un’opera Senza titolo del 2005 di Nunzio, artista anch’egli legato all’Arte povera, come Merz e Prini, nato in provincia dell’Aquila che vive tra Roma e Torino, le cui opere sono in numerose collezioni permanenti. La Fondazione è impegnata, a fianco dell’amministrazione comunale, nel progetto di riqualificazione del tessuto urbano, come appunto il quartiere Borgo San Paolo, uno dei più segnati dalle vicende di dismissione di grandi insediamenti, in questo caso Lancia; Fiat a Mirafiori. Spazi inutilizzati soggetti a un progressivo decadimento che la cultura può riempire e valorizzare.

La mostra, a cura di Beatrice Merz e Timotea Prini in collaborazione con Archivio Emilio Prini presenta un’esposizione personale concepita dalla Fondazione Merz come omaggio all’artista Emilio Prini (Stresa, 1943 – Roma, 2016), omaggio doveroso da parte della Fondazione a un artista discusso, quanto sfuggente, certamente geniale, ironico, autentico e provocatore. La mostra è anche un’occasione per ripercorrere un legame di amicizia e di profonda stima tra Emilio Prini e Mario Merz. Per la prima volta un nucleo di oltre quaranta opere di Emilio Prini, dal 1966 al 2016, viene portato in mostra per attivare una riflessione critica e storica intorno all’esperienza di uno dei principali rappresentanti dell’Arte povera. I

l percorso espositivo e l’allestimento sono stati concepiti dalle curatrici nel rispetto della filosofia dell’artista anche grazie alla profonda conoscenza e vicinanza con l’uomo Prini, amico e padre. “Millo: una presenza nella nostra vita, un dialogo creativo, un amico nel lavoro, nei viaggi, uno scambio costante in un clima colmo di sensibilità che ha certamente inciso la sua storia come la nostra. Il suo infrangere le regole ha insegnato la possibilità di cogliere il valore della contraddizione e del dubbio, un passaggio dell’arte nella vita. Il vissuto personale, oggi, complice il tempo, si è trasformato in qualcosa da studiare e divulgare. Per questo sono orgogliosa di poter presentare nello spazio dedicato a Mario e Marisa il suo lavoro, un lavoro di estrema attualità pronto al confronto con le nuove generazioni e in linea con il percorso che sta intraprendendo la Fondazione Merz, di riflessione sul proprio ruolo, non solo come luogo di memoria e conservazione, ma anche e soprattutto come specchio di un’arte sperimentale”, commenta Beatrice Merz, co-curatrice della mostra e presidente della Fondazione Merz.

Oggetto di questo omaggio speciale alla figura enigmatica di Emilio Prini è la ricerca estrema che ne ha caratterizzato la produzione, sviluppata con molteplici media tra cui la fotografia, la scrittura e il testo sonoro e articolata in diversi macro temi: la negazione e l’annullamento dell’opera, il rapporto spaziale vuoto-pieno, che in quest’esposizione si coglie molto bene e che la concezione spaziale della Fondazione valorizza, la standardizzazione dell’oggetto e della misura, la contrapposizione tra visibile e invisibile.

La selezione in mostra include opere iconiche come Autoritratto (1968) e Perimetro misura a studio stanza (1968), lavori scultorei sul concetto di standardizzazione dell’oggetto e ricerche sulla fotografia come Vetrina (1974/75) o le oltre 40.000 foto di Film Tv, 5 min. (1969), oltre al più recente progetto La Pimpa Il Vuoto (2008), costruito con immagini tratte dal celebre fumetto di Altan, isolato in una stanza tutta per sé. Il percorso espositivo è arricchito da un’ampia documentazione d’archivio inedita che include ritagli fotografici, appunti e schizzi. Le opere provengono dalla collezione della famiglia Prini, da collezionisti privati che negli anni hanno seguito con attenzione il lavoro dell’artista e da prestiti di istituzioni pubbliche, tra cui il Kunstmuseum Liechtenstein di Vaduz e il MASI di Lugano.

Chi era Emilio Prini? Artista, protagonista come già detto dell’arte povera, uno dei movimenti artistici recenti più influenti e radicali, fortemente connesso al contesto politico e sociale della seconda metà del XX secolo. A partire dal 1967, anno del debutto con la mostra curata da Germano Celant Arte povera–Im Spazio alla Galleria La Bertesca di Genova, Prini prende parte alle mostre più significative dell’epoca: Op Losse Schroeven, Stedelijk Museum, Amsterdam (1969); When Attitudes Become Form”, Kunsthalle Bern (1969); Conceptual Art, Arte Povera, Land Art, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino (1970); Information, MoMA, New York (1970), Contemporanea, Villa Borghese, Roma (1973).

Dai primi anni Ottanta, coerentemente con il suo pensiero e senza mai interrompere la ricerca, limita la sua partecipazione a mostre e appuntamenti artistici. Tra questi si segnalano: Identité Italienne. L’art en Italie depuis 1985, Centre Georges Pompidou, Parigi (1981); Ouverture, Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, in provincia di Torino (1984); Documenta X, Kassel (1997); e Zero to Infinity. Arte Povera 1962- 1972, Tate Modern Londra (2001).

Una posizione trasgressiva, quella di Prini, o se vogliamo ortodossa nei confronti della pratica artistica e dei codici del sistema dell’arte.

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

A pochi passi dalla Fondazione Mario Merz, la sede della Fondazione Sandretto inaugurata nel 2002 su una superficie di 3.500 metri quadri, ospita la personale di grande impatto dell’artista fiamminga Berlinde De Bruyckere, dal 1 novembre scorso al 15 marzo 2020, dal titolo emblematico, Altheia, Verità, non così chiaro o almeno immediato come vorrebbe la parola. La ricerca della verità da parte di quest’artista di Gand, classe 1964, passa infatti nelle sue opere attraverso molte stratificazioni. Si sente freddo quando si entra e un senso forte di desolazione, spazi vuoti che suggeriscono luoghi di sterminata vastità, poco abitati, desolati, eppure in qualche modo opprimenti, certamente di grande fascino. L’evocazione è quella di un nord ghiacciato, metafora di solitudine, come se la presenza umana fosse scomparsa e ne rimasse traccia solo nelle sue attività, oggetti. Il suo lavoro è focalizzato su temi universali quali il dolore e la morte, influenzato dalla mitologia ma anche dall’esperienza di ambienti sociali in collasso.

In occasione della mostra, l’artista ha ideato un corpus di opere visibile nell’intero spazio espositivo come una narrazione organica: una serie di sculture monumentali e una grande installazione ambientale. La mostra era nata più con l’idea di una retrospettiva, considerando anche che la Fondazione possiede due opere dell’artista, ma gli spazi monumentali e la possibilità di integrare il corridoio di accesso nel percorso hanno suggerito all’artista una narrazione unitaria e di ripensare una regia di forte impatto emotivo anche dal punto di vista dimensionale.

Curata da Irene Calderoni, la rassegna s’ispira a un luogo che l’artista ha visitato recentemente e che ha influenzato la sua produzione: un laboratorio per la lavorazione delle pelli ad Anderlecht, in Belgio. Qui le pelli degli animali, appena strappate, vengono impilate su larghi bancali e ricoperte di sale al fine di preservarle in funzione di trattamenti successivi. Un luogo intriso d’immagini potenti e sensazioni estreme, di una morte vasta, senza nome, e dell’emergenza di qualcosa di nuovo, dà forma a temi chiave, come la relazione tra vita e morte, Eros e Thanatos, bellezza e angoscia. È un luogo ripugnante che tuttavia può evocare un’idea di sacralità in relazione ai resti mortali del corpo, e che come tale incarna la domanda al centro del lavoro di quest’artista, ovvero come avvicinare l’intollerabile e come redimerlo.

La figura della pelle animale gioca un ruolo chiave nella produzione della Buyckere. Le pelli sono sottoposte a una serie di differenti operazioni, calco e riproduzione in cera, piegatura, drappeggiatura, costrizione e deformazione. Evocatrice di un atto di crudeltà e di patimento, la pelle allude al corpo tramite la sua assenza, un’immagine ambivalente che parla di ferite e di contatto.

Con quest’esposizione l’artista intende veicolare il tema della sofferenza degli esseri viventi, come ha dichiarato. “In questo momento storico, in cui proliferano estremismo e razzismo, in cui compassione e solidarietà sono inariditi, in cui vediamo troppe somiglianze con l’inquietudine degli Anni Trenta che ha preceduto le mostruosità innominabili dell’Olocausto e quella particolare diffamazione della civiltà è persino negata da persone con troppo potere politico, sento l’esigenza di proporre immagini audaci, forti. Voglio portare quella stanza al pubblico. Come una esperienza fisica, immersiva”.

Colpisce l’uso dei materiali essenziali per ammissione dell’artista per indirizzare i propri lavori, come la cera che, ha raccontato “è un materiale morbido, è delicato, semplice da manipolare e mi consente di usare tutte le gamme di colore che desidero. Mi permette di trasformare le brutali e inquietanti immagini che sono il punto di partenza per la maggior parte dei miei lavori in qualcosa che, in qualche modo, rimane nel limite di ciò che possiamo sopportare, di ciò che possiamo accettare. L’aspetto repellente delle pelli di animali scorticarti, una volta “tradotte” in un calco di cera, tinto in colori delicati, fino al pastello, divengono sopportabili. Possono perfino rivelare un aspetto di bellezza”.

 

a cura di Ilaria Guidantoni

 



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