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A La Pergola il grande classico I Giganti della montagna

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Gabriele Lavia0

pergola1Un classico di Pirandello, il più grande di tutti i tempi, secondo Gabriele Lavia, che ha dichiarato di preferirlo a William Shakespeare. Lo stesso siciliano disse di sé che se il Bardo aveva portato l’uomo sul precipizio, lui lo aveva fatto cadere dentro. Lavia firma la regia e nella parte di Cotrone, detto il Mago, è anche regista del gioco dello spettacolo in scena, un teatro nel teatro, un manifesto della poetica migliore di Pirandello. Lo spettacolo è sontuoso e insieme sofisticato.

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Il testo, rappresentato per la prima volta postumo nel 1937, è una sorta di lascito testamentario, visionario, dedicato all’arte e al teatro, alla poesia che evoca che non era più capitata e che oggi è tremendamente attuale, come mostra la scenografia grandiosa di un teatro rotto, che sta crollando, perché abbandonato. Una sorta di doppio del teatro nel quale sono seduti gli spettatori. Lavia in questo spettacolo raggiunge l’apice della sua regia perché regala il sogno, la magia del teatro come il suo personaggio racconta, un teatro classico nel senso di universale come non si vede da tempo e che sempre più raramente è in scena anche per ragione di costi. Ventitre attori in scena con costumi sontuosi e il teatro intero che si veste sia con la scena sia con l’azione: in analogia con il testo che racconta il lambirsi fluido della realtà con la fantasia la scenografia è sbilenca, con piani inclinati dal proscenio con una scala inclinata al sipario, non nuova negli allestimenti di Lavia. Gli stessi attori vanno e vengono tra platea e palcoscenico in uno scambio simbolico, nel quale non c’è più confine. Non ci sono barriere tra realtà e sogno, mentre i sogni vivono anche fuori di noi creando illusioni e allucinazioni. Gli attori diventano anche maschere perché come dice Cotrone ad un certo punto nella vita si incontrano tante maschere ma pochi volti.

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A Firenze abbiamo avuto la fortuna di assistere all’ultima replica dello spettacolo che ha debuttato al Teatro Strehler di Milano e che sarà prossimamente al teatro Carignano di Torino per tre settimane. Gabriele Lavia torna a rappresentare Luigi Pirandello con la Compagnia della Contessa insieme a Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro e gli Scalognati Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini.

Dopo i Sei personaggi in cerca d’autore L’uomo dal fiore in bocca… e non solo, chiude la sua personale trilogia pirandelliana con I giganti della montagna. La pièce è la terza dei ‘miti’ Moderni di Pirandello, dopo il religioso Lazzaro e il sociale La nuova colonia, qui si racconta il mito dell’arte. La vicenda narra di una compagnia di attori che giunge nelle sue peregrinazioni in un tempo e in un luogo indeterminati: al limite, fra la favola e la realtà, alla Villa detta “La Scalogna”. La narrazione ha per Lavia e anche per lo spettatore il fascino del non finito perché non è una storia nel senso stretto della trama ma la storia, in qualche modo dell’uomo come artista del mondo che in questo testo incontra il proprio doppio: come accennato il teatro degli spettatori incontra quello in scena, dissestato; così come l’incontro tra i personaggi, forse più evidente da Ilse (Federica di Martino) e una svagata e prossima alla follia Maria Maddalena, dove la ‘maschera’ le rende relativamente vicine anche fisicamente. Una compagnia di teatranti guidata dalla contessa Ilse arriva alla villa detta La Scalogna dove vive uno “strano” mago che dà loro rifugio.

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Il teatro nel teatro accoglie la Favola del figlio cambiato, novella di Pirandello, che i nuovi arrivati vorrebbero mettere in scena ma non trovano il teatro giusto, perché in fondo non esiste più: perché è quel palcoscenico abbandonato che può, solo, sopportarne il peso. Gli attori, i poeti non trovano più posto tra gli uomini ma solo tra altri artisti, tra i fantasmi, ai confini della realtà, dove possono tornare bambini. Una rappresentazione sull’incomunicabilità e l’incomprensione della società rispetto all’arte tragicamente attuale.

Poi ci sono i Giganti, che incombono, ma che non si vedono mai, uomini di spiccata altezza, che hanno costruito la loro vita in un luogo impervio, per questo sono diventati forti ma anche bestiali e possono incutere timore. Ma in un aspetto restano particolarmente fragili, nell’orgoglio. Come suggerisce Cotrone basterà lusingarli perché prestino il loro fianco.

Alla fine del II atto scrive le ultime cinque parole della sua vita e di tutto il Teatro delle maschere nude: “Io ho paura, ho paura…”.

Cotrone, il mago, dice di essersi fatto “turco” per il “fallimento della poesia della cristianità”. Chi è questo “strano” mago, mezzo vestito da turco, che vive nel “fallimento”, nella “caduta” del mondo, ai margini della vita e ai confini del sogno? “È Luigi Pirandello – risponde Lavia – agrigentino e nato, per un’epidemia di colera da cui fuggire, in un “luogo a parte” chiamato Caos, parola greca che vuol dire “spalancato, disordinato”. Il contrario è Kósmos, “ordinato, abbellito”, da cui “cosmetico”. E il Teatro di Pirandello, certo, non è “cosmetico”.

Di alto profilo l’interpretazione corale degli interpreti: Lavia riesce a contenere la sua esuberanza per restituirla in profondità, lavorando la parola, ‘ruminandola’, tanto da renderla scenica, tridimensionale; elegante, con grande presenza scenica, forte espressività senza mai urlare Federica Di Martino, si conferma il ‘mezzo soprano’, perfetto per Lavia: voce raffinata più di un soprano. 

a cura di Giada Luni

 



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