
Pentimentum è un monologo interpretato dall’attore livornese Massimiliano Ibba – docente con una laurea in psicologia, nonché istruttore di nuoto – per la regia di Marco Filippi, alla sua prova scenica dopo una sperimentazione con lo stesso attore 25 anni fa.
Il debutto al Teatro Comunale di Fauglia, in provincia di Livorno, segna un ritorno al territorio in senso ampio: dopo un’assenza di oltre un decennio dalle scene Massimo Ibba torna a calcare il palcoscenico e Marco Filippo, una carriera politica a Roma, nelle commissioni parlamentari lavori pubblici, trasporti e infrastruttura, rientra a casa e recupera la sua vecchia passione. Il testo, scritto a quattro mani per un teatro di parola in cui il racconto concede poco o niente a tutto il resto, e si rivolge ai giovani con un messaggio civile forte e il coraggio di proporre il sogno, un modo diverso di fare politica.
Abbiamo incontrato il regista alla vigilia del debutto per saperne di più. Com’è nata l’idea?
“E’ stato l’attore a chiedermelo, al quale mi lega una vecchia amicizia, e la nostra prima – e per me unica – presenza teatrale. Da parte sua c’era la stima nei miei confronti perché sono stato io in qualche modo a spingerlo sul palcoscenico che per alcuni anni è diventato il suo mestiere a tempo pieno. Il testo c’era, scritto dallo stesso Ibba, che ne aveva già immaginato una regia, decidendo e preferendo poi di essere solo l’interprete. Io ci ho lavorato, sfrondandolo e soprattutto aggiungendo una conclusione che è diventata anche una mia citazione biografica: l’abbandono della scena politica, che mi ha fortemente deluso e la voglia con il teatro di ricominciare in modo diverso un impegno civile.”
Qual è il messaggio centrale? “La speranza, perfino l’utopia e il dovere di coltivare degli ideali, il coraggio del sogno con una proposta di teatro di parola che nasce come uno spettacolo vero e proprio ma si presta anche ad essere rappresentato in piazza o in strada. L’idea è di recuperare la condivisione tipica del teatro e il confronto nel dibattito una volta chiuso il sipario con l’idea, anche se potrebbe suonare retorico, di coltivare l’uomo più che la macchina”.
A chi si rivolge il testo?
“Principalmente ai giovani delle scuole superiori con l’idea di farlo girare nelle scuole. Non è un caso che dopo il debutto locale andremo in un centro occupato a Livorno, il 14 e 15 novembre, che sembra una contraddizione ma che intende sposare l’idea del presidio sociale che fa parte della storia di questa città.”
La vicenda narra di Alex Kunz un agente segreto che trovatosi al centro di intrighi internazionali e di oscure trame per la conservazione del potere, si pente per le malefatte viste e compiute e ipotizza di sovvertire un sistema ormai fuori controllo all’umanità.
Ne esce un messaggio rivolto alle nuove generazioni per un mondo migliore, fondato su altri presupposti, fatto da nuovi rapporti e relazioni più umane, per dare appunto una nuova opportunità al mondo intero.
Il risultato è un monologo frenetico e serrato, ricco di narrazioni e racconti.
Vicende che si dipanano in ogni angolo della terra, coinvolgono personaggi improbabili sempre in bilico tra sogno e realtà.
Come in “un sogno fatto di sogni” in “un viaggio al termine della notte”, sarà alla fine il buio, metafora di metafora, a disvelare la strada per un tempo fatto di tempo perché il futuro non passa mai.
La scenografia è scarna, essenziale: una poltrona in pelle, un grammofono su un piccolo tavolo e un telefono nero anni cinquanta posato su una consolle in vetro.
Gli abiti sono appesi ad un carrello, e i cambi vengono fatti a vista in scena.
C’è anche una “manichina”, ma non è una donna…e una vecchia lanterna.
a cura di Giada Luni